Evasione fiscale, quando scatta il maggior danno per la Pa
Le Sezioni unite civili, con la sentenza n. 29862 depositata oggi, partendo da un caso di evasione dei dazi doganali affermano numerosi principi di diritto
Le Sezioni unite civili, con la sentenza n. 29862 depositata oggi e lunga 44 pagine, partendo da un caso di evasione dei dazi doganali nell'importazione della frutta da paesi extra Ue, fanno il punto, affermando numerosi principi di diritto, sul possibile ulteriore danno alla PA, per esempio il danno all'immagine, e la sua eventuale risarcibilità, indagandone il contenuto, le modalità di determinazione e la ripartizione dell'onere della prova. Per prima cosa non è vero che il danno alla Pa può essere cagionato solo da un suo dipendente. È invece corretto affermare che un reato doganale possa produrre un danno all'immagine dell'ente. Ma il danno patrimoniale causato dall'evasione non può consistere semplicemente nella somma corrispondente al tributo evaso dovendo l'amministrazione provare gli ulteriori pregiudizi patiti.
Ripercorrendo sommariamente i principali passaggi della complessa decisione si può cominciare con l'affermare che alla "vittima del fatto illecito – in questo caso il Ministero dell'Economia, le Dogane e la Commissione Ue - è consentito proporre una domanda limitata ab origine all'accertamento del solo an debeatur, con riserva di accertamento del quantum in un separato giudizio". E che in questo tipo di giudizio può anche essere pronunciata la condanna al pagamento di una provvisionale, nel caso a 1,5 mln di euro.
Inoltre, nel giudizio limitato all'an debeatur, è sufficiente che l'attore fornisca la prova della probabile esistenza d'un danno, prova che ovviamente può essere fornita con ogni mezzo, ivi comprese le presunzioni semplici. Ai fini d'una condanna generica, dunque, è sufficiente che l'attore alleghi e provi la mera "potenzialità dannosa" del fatto illecito.
La Suprema corte chiarisce poi che è non è corretto il principio, invocato dalla ricorrente, secondo cui soltanto soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione potrebbero essere condannati a risarcire il danno all'immagine sofferto da quest'ultima. Il danno civile, infatti, è atipico: chiunque può arrecarlo a chiunque, e con qualunque condotta. Così, ad esempio, il funzionario di fatto, il calunniatore, il millantatore, l'appaltatore infedele, il concessionario di pubblici servizi disonesto, pur non appartenendo alla pubblica amministrazione, con le loro condotte ben potrebbero arrecare un danno all'immagine di quest'ultima.
L'esistenza di un danno all'immagine della Pa dunque è un giudizio analitico a posteriori che dipende dalla natura della condotta illecita e dalle sue conseguenze, e non un giudizio sintetico a priori che dipenda dalla qualità soggettiva del responsabile. Che un reato doganale possa nuocere all'immagine della Pa è stato del resto già ammesso dalla giurisprudenza penale di questa Corte così come in ripetute occasioni si è ammesso che il reato commesso dall'extraneus alla Pa possa recare nocumento all'immagine di questa, suscitando nei cittadini la sensazione dell'inefficienza o della collusione di essa col reo.
Passando a un ulteriore tema, le S.U. affermano che nei rapporti tra l'erario e il contribuente che abbia commesso un reato tributario, il capitale dovuto da quest'ultimo a titolo d'imposta costituisce l'oggetto dell'obbligazione tributaria, non un "danno" che a quella vada ad aggiungersi ai sensi dell'articolo 1218 del Cc. Dunque, in tutti i casi in cui l'amministrazione non abbia perduto il diritto di agire esecutivamente nei confronti del debitore, e questi abbia un patrimonio capiente, il danno causato dal reato non può ravvisarsi nell'importo del tributo evaso.
Va comunque escluso che tale maggior danno possa ritenersi in re ipsa, e identificarsi nel c.d. danno funzionale (e cioè nel turbamento dell'attività amministrativa conseguito all'accertamento dell'evasione). Considerato che l'attività di accertamento è una delle funzioni degli uffici, e non può ritenersi danno lo svolgimento dell'attività per cui sono stati costituiti.
In conclusione, il danno patrimoniale da evasione penalmente rilevante di cui l'amministrazione finanziaria può chiedere il risarcimento è necessariamente diverso dall'imposta evasa, dalle sanzioni e dagli interessi moratori previsti dalla legislazione speciale, e potrà consistere solo negli eventuali ulteriori o diversi pregiudizi sopportati dalla p.a..
Tali pregiudizi rientrano nella previsione dell'articolo 1224, secondo comma, del Cc, e come detto, non sono in re ipsa e vanno allegati e dimostrati in modo preciso. Il danno non patrimoniale da evasione penalmente rilevante, ovviamente, resta soggetto alle regole di cui agli articoli 2059 del Cc e 185 del Cp.
In altri termini, il tributo non riscosso è la prestazione dovuta dal contribuente, non il danno che dall'inadempimento è derivato.
In questo senso è stata accolta una doglianza della ricorrente, reputata "colpevole del contrabbando", e dunque debitrice del dazio doganale. Siccome l'evasione non estingue di per sé il credito erariale, per quanto appena detto, l'accoglimento della domanda di danno avrebbe imposto al giudice di merito di accertare la probabile esistenza di un "maggior danno", anche solo in via probabilistica (trattandosi di un giudizio limitato all'an debeatur). Mentre "non era consentito al giudice di merito parametrare tout court il risarcimento del danno all'imposta evasa".
Nel caso di evasione fiscale, dunque, non vi può essere alcuna scelta da parte dell'erario tra la riscossione coattiva e l'azione di danno, perché l'azione aquiliana è inutilizzabile per ottenere l'esatta esecuzione della prestazione dovuta.
Ricapitolando per sommi capi i principi espressi, va detto che:
(a) ai fini dell'accoglimento della domanda di condanna generica al risarcimento del danno è sufficiente che l'attore dimostri la colpa e il nesso causale; mentre è sufficiente che l'esistenza del danno appaia anche solo probabile;
(b) ai fini dell'ammissibilità della domanda di condanna generica al risarcimento del danno non è necessario che l'attore indichi le prove di cui intende avvalersi per dimostrare il quantum debeatur;
(c) il danno civile all'immagine della pubblica amministrazione può essere arrecato tanto da un pubblico funzionario, quanto da persona estranea all'amministrazione stessa, ed è risarcibile in ambo i casi;
(d) il danno causato dall'evasione fiscale, allorché questa integri gli estremi di un reato commesso dal contribuente o da persona che del fatto di quest'ultimo debba rispondere direttamente nei confronti dell'erario, non può farsi coincidere automaticamente con il tributo evaso, ma deve necessariamente consistere in un pregiudizio ulteriore e diverso", ricorrente qualora l'evasore abbia con la propria condotta provocato l'impossibilità di riscuotere il credito erariale;
(e) il danno causato dall'evasione fiscale, allorché questa integri gli estremi di un reato commesso da persona diversa dal contribuente e non altrimenti obbligata nei confronti dell'erario, può coincidere sia con il tributo evaso, sia con ulteriori pregiudizi, ma nella prima di tali ipotesi il risarcimento sarà dovuto a condizione che l'erario alleghi e dimostri la perdita del credito o la ragionevole probabilità della sua infruttuosa esazione;
(f) nel giudizio di danno promosso dall'erario nei confronti di persona diversa dal contribuente, cui venga ascritto di avere concausato la perdita del credito erariale, spetta all'amministrazione provare l'esistenza del credito, la perdita di esso e il nesso causale tra la lesione del credito e la condotta del convenuto; spetta, invece, al convenuto dimostrare che la perdita del credito sia avvenuta per negligenza dell'amministrazione, negligenza che rientra nella previsione di cui all'articolo 1227, primo comma, del Cc.
Infine, la Suprema corte aggiunge che qualunque fatto illecito che abbia per effetto la perdita di un tributo "proprio" dell'Unione Europea costituisce un danno per quest'ultima. In questi casi, lo Stato italiano, tramite i suoi organi, è certo legittimato a domandare il risarcimento, ma ovviamente nella qualità di soggetto incaricato della riscossione. Ricordando poi che nel presente giudizio la domanda è stata formulata direttamente dalla Commissione Europea, sicché a quest'ultima andava riconosciuta la qualità di creditore del diritto al risarcimento del danno.