Facebook: reato accedere contro volontà del titolare di credenziali
Entrare nel profilo Facebook di mogli o ex fidanzate, che abbiano spontaneamente comunicato le proprie credenziali di accesso, è comunque un reato se questo avviene contro la loro volontà. La Cassazione con due sentenze di oggi (nn. 2942 e 2905) ha toccato un punto nevralgico dell''abusivo accesso a sistema informatico', reato di nuovo conio a tutela della libertà individuale. E lo fa respingendo gli argomenti difensivi, secondo cui la condivisione di username e password con il partner costituirebbe di fatto consenso all'accesso informatico sul social dell'altro e di cui, in modo lecito, si posseggono le chiavi di accesso. Non scatta, quindi, alcuna scriminante del reato previsto dall'articolo 615- ter del Codice penale se si fotografano chat intrattenute su Facebook o se addirittura si utilizza il social simulando di essere il titolare del profilo. In tale ultima evenienza - come in uno dei casi esaminati dalla Cassazione - scatta anche il reato di sostituzione di persona.
Per la Cassazione non scatta automaticamente alcuna scusante dalla lecita conoscenza delle chiavi di accesso. E, men che mai, se si modificano le credenziali impedendo l'accesso al titolare o se si utilizza il social per ingiuriare terzi sotto la falsa identità di chi formalmente appare. Infine, i giudici di legittimità accendono il faro anche sull'inapplicabilità, a casi simili, della norma deflattiva del processo penale secondo cui non si procede per reati di particolare tenuità. Infatti, la Cassazione respinge l'argomento difensivo dell'irrilevanza penale della condotta di chi accede più volte nel profilo Facebook di terzi. La pluralità degli accessi e la finalità per cui si realizzano esclude il beneficio della non punibilità (articolo 131 bis del Codice penale) trattandosi di condotte reiterate che poi - nel caso della sostituzione di persona - sono aggravate dalla continuazione tra questo reato previsto all'articolo 494 del Codice penale e quello dell'abusivo accesso.
In conclusione, sono interessanti anche le risposte con cui i giudici respingono altri passaggi difensivi. Ad esempio, la mancata prova della presenza dell'imputato nelle vicinanze del computer, da cui risulta un episodio di accesso, non esclude di per sé il reato dell'articolo 615 -ter del Codice penale, se incontestati sono tutti gli altri ingressi su Facebook. E lo stesso ragionamento vale se manca la prova da quale indirizzo IP di Internet sia stata fatta la modifica delle chiavi di accesso al social. Questa, infatti, è circostanza che - come dice la Cassazione - non oblitera il fatto accertato e incontestato dei plurimi accessi. Nelle due vicende i fatti erano in un caso l'acquisizione di una chat, fonte di lite tra due coniugi, e poi prodotta 'a carico della moglie' in sede di separazione; e nell'altro il sostituirsi alla ex per ingiuriare il rivale.
Corte di Cassazione - Sezione V -Sentenza 22 gennaio 2019 n. 2942
Corte di Cassazione - Sezione V -Sentenza 22 gennaio 2019 n. 2905