Factoring, eccezioni opponibili dal debitore ceduto nei confronti del factor
In assenza di una disciplina ad hoc occorre fare riferimento ai principi generali in materia di cessione del credito disciplinati dal codice civile, ed in particolare dagli artt. 1260 c.c. e ss.
*Il contributo è tratto dall'approfondimento di dottrina "Il contratto di factoring", Contratti - La Rivista - marzo 2022 - n. 3/p. 10, di Avv. Andrea Cicia, Avv. Simona Sardelli
La garanzia di solvenza
Nel factoring, la garanzia della solvenza del debitore - contrariamente a quanto disposto dall'art. 1267 c.c. - grava ex lege sul cedente dei crediti d'impresa, prevedendo al contempo la possibilità per il cessionario di rinunziarvi, in tutto o in parte, per iscritto, assumendo il rischio del mancato pagamento da parte del debitore ceduto (art. 4) (10).
La legge 21 febbraio 1991, n. 52 prevede dunque che la cessione dei crediti, nel contesto di operazioni di factoring, avvenga pro solvendo salvo che il cessionario rinunci alla garanzia e decida di accollarsi il rischio di inadempimento dei debitori ceduti.
In tale ipotesi, la cessione dei crediti si qualificherebbe come pro soluto.
Ulteriore differenza rispetto al disposto dell'art. 1267 c.c. è rappresentata dalla circostanza che il cedente garantisce la solvenza del ceduto «nei limiti del corrispettivo pattuito», mentre l'art. 1267, comma 1, c.c. prevede che il cedente è tenuto, verso il cessionario, anche per gli interessi, le spese e il risarcimento danni.
Sul punto, si sostiene che la mancata inclusione, nell'art. 4, dell'obbligo di rimborsare gli interessi, le spese ed il danno, come previsto all'art. 1267, comma primo, c.c. costituisce un «silenzio eloquente», in quanto i criteri e i calcoli economici sottesi alle operazioni di factoring sono di una rilevanza tale da poter giustificare l'omessa previsione dell'obbligo di rimborso in capo al cedente
Eccezioni opponibili dal debitore ceduto nei confronti del factor
La legge 21 febbraio 1991 n. 52 non detta una disciplina speciale in merito alle eccezioni opponibili dal debitore ceduto al factor.
In assenza di una disciplina ad hoc, occorre dunque fare riferimento ai principi generali in materia di cessione del credito disciplinati dal codice civile, ed in particolare dagli artt. 1260 c.c. e ss.
Di rilievo sono, anzitutto, le disposizioni previste all'art. 1263, c. 1, c.c., ove si ritiene che il termine "altri accessori" includa altresì le eccezioni opponibili al creditore .
Con riferimento alle eccezioni relative a fatti estintivi o modificativi del rapporto obbligatorio, ed in particolare al momento temporale oltre il quale non possono essere eccepite, la giurisprudenza ha individuato il momento dell'accettazione della cessione, o della sua venuta a conoscenza da parte del debitore, come elemento distintivo rispetto alle eccezioni opponibili da quelle non opponibili.
Tale distinguo risulta essere conforme a quanto previsto dall'articolo 1264 c.c. con riferimento all'efficacia della cessione riguardo al debitore ceduto.
La norma citata collega infatti l'efficacia della cessione, nei confronti del debitore, al momento in cui quest'ultimo l'abbia accettata o quando gli è stata notificata.
Efficacia della cessione nei confronti dei terzi
Ai fini della data certa del pagamento di cui all'art. 5 della Legge 21 febbraio 1991 n. 52, giova ricordare che il codice civile, all'articolo 2704, ricollega la nozione di "data certa" alle scritture private.
Con riferimento alle operazioni di factoring, e più in generale alle cessioni di crediti, il requisito della data certa si ritiene soddisfatto mediante l'annotazione del contante sul conto di pertinenza del cedente, in conformità a quanto previsto dall'art. 2, comma 1, lett. b) del D. Lgs. n. 170/2004
Revocatoria fallimentare e fallimento del cedente
La Legge 21 febbraio 1991 n. 52 si occupa della interazione del factoring con la disciplina fallimentare con due distinte norme che saranno considerate separatamente all'interno del presente paragrafo.
La prima è quella contenuta nell' art. 6 , in materia di revocatoria fallimentare dei pagamenti del debitore ceduto. In tale ipotesi, però, le conseguenze dell'azione revocatoria ricadranno sul creditore cedente e non sul factor.
Con riferimento alle conseguenze immediate del fallimento del debitore ceduto, verrebbe in rilievo la diversa struttura della cessione dei crediti e, in particolare, se essa è stata effettuata pro soluto, ovvero pro solvendo: nel primo caso, il factor non potrà rivalersi nei confronti del cedente, ma dovrà proporre domanda di ammissione al passivo del fallimento del debitore ceduto, al fine di ottenere in moneta fallimentare il pagamento dei crediti cedutigli; nel secondo caso, il factor potrà esercitare la rivalsa, fino a concorrenza della somma anticipata, oltre gli interessi e le commissioni di factoring, nei confronti del cedente, il quale, a sua volta, dovrà insinuarsi al passivo fallimentare del debitore ceduto.
Sulla base della disposizione di cui all' art. 7 , invece, in caso di fallimento del cedente, ai fini dell'opponibilità della cessione non è sufficiente il pagamento in tutto o in parte del corrispettivo della cessione con data certa, essendo tale opponibilità subordinata al mancato raggiungimento della prova, a carico della curatela, della conoscenza da parte del cessionario dello stato di insolvenza in cui versava il cedente quando ha ricevuto il pagamento del prezzo della cessione; ciò a condizione che detto pagamento sia stato eseguito nell'anno anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento e prima della scadenza del credito ceduto.
Qualora, quindi, non sia trascorso l'anno e venga provata la scientia decoctionis la cessione dovrà considerarsi inefficace ed il factor potrà recuperare quanto anticipato presentando domanda di ammissione al passivo fallimentare.
Nel prevedere l'inopponibilità della cessione al fallimento del cedente al ricorrere di determinati presupposti, è indubbio che l'art. 7 legittimi il curatore all'esercizio di un'azione revocatoria, che necessita però di essere coordinata con l'azione revocatoria di cui all'art. 67 della Legge Fallimentare.
La formulazione dell'art. 7 e le ricostruzioni che sul rapporto di quest'ultimo con la revocatoria fallimentare si sono avvicendate, rendono particolarmente complessa l'individuazione del relativo ambito di applicazione e la chiara esposizione del possibile rapporto tra di loro intercorrente.
Alla luce di quanto affermato, sembrerebbe quindi ragionevole ritenere che, in presenza dei relativi presupposti, il curatore abbia la possibilità di esercitare le ulteriori azioni revocatorie soltanto ove non concorrano tutti i presupposti per l'esercizio dell'azione revocatoria speciale prevista ad hoc per la dichiarazione di inefficacia della cessione dei crediti d'impresa ( Trib. Milano, 11 settembre 2012, in Modulo24 Contratti).
Si sostiene infatti che «lo scopo dell'art. 7 sarebbe quello di fornire agli organi del fallimento una speciale azione di inefficacia della cessione per l'eventualità che sia stata resa opponibile ai sensi dell'art. 5, comma 1, lett. c) e di escludere dalla data certa del pagamento del corrispettivo la possibilità del curatore di esperire l'azione revocatoria fallimentare»
Avv. Sardelli Simona e Avv. Cicia Andrea
Riviste