Penale

False dichiarazioni a pubblico ufficiale: è reato (non ritrattabile) mentire sul conseguimento della laurea

Per la Quinta sezione penale della Cassazione, sentenza n. 23353/2022, il bene della fede pubblica esige una commisurazione del giudizio di rilevanza della falsità, ai fini dell'offensività della condotta

di Aldo Natalini



Le false dichiarazioni sull'identità e le altre qualità personali punite dall'articolo 496 del Cp integrano un delitto a consumazione istantanea, che si perfeziona nel momento stesso in cui le dichiarazioni vengono rese al pubblico agente, a fronte di espressa richiesta di quest'ultimo, non avendo alcuna rilevanza, ai fini della sussistenza del reato, l'eventuale successiva ritrattazione.
Così la Quinta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 23353/2022, depositata lo scorso 15 giugno, secondo cui il bene della fede pubblica, tutelato dall'articolo 496 del Cp, esige una commisurazione del giudizio di rilevanza della falsità, ai fini dell'offensività della condotta, non solo alla finalità di identificazione del dichiarante, ma anche a finalità ulteriori, di interesse, oltreché per il pubblico ufficiale richiedente, anche per altri destinatari della dichiarazione.

La vicenda: il falso in qualità personali
La vicenda al vaglio della Corte Suprema riguardava un consulente tecnico di parte che, nell'ambito di un importante processo penale, in merito ai titoli di studio conseguiti, aveva dichiarato più volte, nel corso dell'escussione innanzi alla Corte d'assise di Brescia, di essersi laureato in ingegneria presso la facoltà di Ingegneria di Friburgo e di aver conseguito una specializzazione "in Balistica Forense applicata alla criminologia", laddove risultava invece avere conseguito il solo diploma di ragioneria e perito commerciale, non avendo in realtà mai concluso alcun corso di laurea universitario, né ottenuto titoli equipollenti.

Dalle indagini svolte emergeva che a Friburgo – città ove il dichiarante aveva riferito di aver vissuto – non esisteva alcuna facoltà di Ingegneria e il titolo di studio posseduto dal Ctp, diverso dal titolo di laurea, era stato conseguito presso un istituto tecnico privato abilitante all'esercizio della professione di ingegnere solo in Francia (ove era iscritto) e in Svizzera.

Il fatto, dopo alterne vicende processuali, veniva qualificato come violazione dell'articolo 496 del Cp, per avere il Ctp reso false dichiarazioni in ordine alle proprie qualità personali e professionali: titolo di reato per il quale la Corte d'appello di Brescia, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, pronunciava condanna a otto mesi di reclusione, confermando l'assoluzione per la falsa testimonianza, pure contestata.

Ponendosi il problema se la falsità dichiarativa dovesse commisurarsi al contenuto della consulenza espletata, la Corte territoriale, nel motivare la condanna, si era soffermata sul rapporto tra la dichiarazione resa e la funzione o al servizio esercitato dal destinatario: non essendo rilevante se per quelle valutazioni tecniche – consistite nell'individuazione di autovetture dalla visione di filmati – fosse necessario il titolo di ingegnere, i giudici di seconde cure avevano parametrato la falsa dichiarazione resa dinanzi alla Corte d'assise alla circostanza che avesse accreditato il Ct della difesa di una maggiore competenza e influenza, potendo indurre in errore l'organo giudiziario sulla preparazione culturale e accademica dell'esperto di parte escusso e, quindi, sull'autorevolezza delle sue analisi tecniche, anche in considerazione della circostanza di specie che il Ct del Pm non era né un ingegnere né un tecnico laureato.
Inoltre, con riguardo la rilevanza della falsità per il destinatario, la Corte territoriale aveva esteso la valutazione anche su tale profilo, valorizzando l'ufficio pubblico esercitato, nel caso concreto, dalla Corte d'assise.

Il ricorso per cassazione: le questioni controverse
In sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna d'appello, la difesa dell'imputato aveva insisto sul motivo dell'inoffensività della condotta argomentando in ordine all'irrilevanza della resa (falsa) dichiarazione in relazione all'organo destinatario: la Corte d'assise – sosteneva il difensore – non ne sarebbe stata condizionata, trattandosi di affermazioni non attinenti all'attività tecnica svolta dal Ctp, poiché la laurea in ingegneria con specializzazione in balistica non era necessaria per l'espletata analisi di video e fotografie.

Secondo la difesa ricorrente, l'articolo 496 del Cp si riferirebbe solo ai dati identificativi del soggetto in sede di interrogatorio in senso tecnico – nella specie non avvenuto, trattandosi di escussione testimoniale – non potendo invece includersi nella fede pubblica protetta dalla norma anche il bene della maggiore credibilità o autorevolezza del dichiarante, il che avrebbe integrato un errore di diritto della sentenza impugnata in ordine alla suggestione subita dalla Corte d'assise lombarda.
La difesa invocava, infine, l'assenza di dolo del reato contestato, ancorato all'improprio utilizzo del termine "laurea".

Il dictum: reato a consumazione istantanea, non suscettibile di ritrattazione e a dolo generico
La sentenza in commento prende in esame tutte le questioni controverse sollevate dalla difesa giungendo a interessanti conclusioni riguardanti il profilo consumativo del reato di cui all'articolo 496 del Cp, l'elemento soggettivo e, infine, il profilo offensivo.
Escluso che la sentenza impugnata fosse incorsa nel contestato travisamento del fatto o in alcun vizio motivazionale, i Supremi giudici rimarcano un primo dato logico rispetto alla valutazione compiuta dalla Corte territoriale: la dichiarazione resa in sede d'esame dal Ct imputato era di fatto "in sé falsa perché volutamente incompleta", lasciando intendere a chi ascoltava che egli fosse a tutti gli effetti di legge laureato in una facoltà straniera di Ingegneria; ciò contrariamente al vero, perché l'imputato non si era "limitato a qualificarsi ingegnere", ma ha più volte affermato – ben sette – di essere "laureato in ingegneria", ciò che peraltro illustrava "pure la prova dell'elemento soggettivo del reato".

Quanto all'ulteriore censura difensiva che imputava alla pronuncia condannatoria una valutazione "parcellizzata" e non complessiva delle dichiarazioni, la Cassazione ribadisce – in punto di diritto – che la condotta di false dichiarazioni ai sensi dell'articolo 496 del Cp è a consumazione istantanea che si perfeziona al momento stesso in cui le false dichiarazioni vengono rese , esattamente come il viciniore reato di cui all'articolo 495 del Cp, fattispecie omogenea quanto al profilo in esame , sicché non occorre attendere il termine dell'esame del testimone per doversi valutare la falsità della dichiarazione; né tantomeno sono previste ipotesi di ritrattazione apprezzabili in favore del reo, peraltro non intervenute nel caso di specie.

In merito al dolo del reato de quo, nel validare il percorso argomentativo della sentenza impugnata – ove si era valorizzato l'uso, in ben sette occasioni, della falsa qualifica di "laureato" da parte del Ctp, a fronte di tardive verità, attestanti la consapevolezza di non voler chiarire quale fosse il reale titolo di studio posseduto – la Cassazione richiama in sentenza il principio di diritto secondo il quale, nel delitto di falsa attestazione inerente a una qualità personale del dichiarante, non si richiede il dolo specifico ma quello generico, non essendo rilevante il fine perseguito dall'autore della falsità, essendo bensì sufficiente la coscienza e volontà della condotta delittuosa. (Sezione V, n. 2676/2022, Dell'Olmo, Ced 282650).

Ma il profilo di maggior interesse della decisione in commento riguarda le censure sollevate dalla difesa riguardanti la dedotta irrilevanza della qualifica di laureato falsamente declinata dal dichiarante rispetto all'organo giudiziario destinatario nonché la mancanza di interrogatorio, che fungerebbe da presupposto – si sosteneva – perché scatti la fattispecie di reato ex articolo 496 del Cp.
Con riguardo a quest'ultimo profilo, la Suprema corte nella decisione qui annotata puntualizza come la norma incriminatrice non faccia alcun riferimento all'interrogatorio in senso tecnico (articolo 63 del Cpp): l'espressione utilizzata è, semmai, "interrogato" riferita al dichiarante, con ciò volendo significare che la dichiarazione non può essere spontanea – come possibile, invece, nel caso dell'articolo 495 del Cp – bensì deve essere richiesta dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio. Pertanto – scandisce la sentenza n. 23353/2022 – del tutto infondato è ogni (preteso) riferimento all'interrogatorio stricto sensu inteso e alla sua finalità di identificazione, quale (asserito) presupposto della fattispecie incriminatrice in esame, perché "interrogato" vuol dire che la falsità si realizza nella risposta alla domanda del pubblico agente, quale che sia la finalità dell'atto.
Quanto, poi, alla natura delle qualità personali oggetto di incriminazione, gli ermellini della Quinta sezione del Palazzaccio hanno ritenuto che correttamente la Corte d'appello abbia qualificato la falsa dichiarazione quanto al conseguimento della laurea come (ulteriore) qualità personale passibile di falsità agli effetti dell'articolo 496 del Cp: la radicata giurisprudenza di legittimità è infatti nel senso che per "qualità personali" si deve intendere ogni attributo che serva a distinguere un individuo nella personalità economica o professionale e che possa avere interesse per l'autorità interrogante , tale essendo, per l'appunto, anche il titolo di studio dichiarato.

Venendo, infine, al tema della coincidenza tra interrogante e destinatario delle dichiarazioni la Suprema corte precisa che tale equiparazione – dedotta nel ricorso per cassazione – non è prevista dalla norma incriminatrice, che infatti si limita a richiedere che l'interrogante sia un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio e nulla riferisce in ordine al destinatario. Pertanto il destinatario potrà essere anche lo stesso richiedente e, in aggiunta allo stesso, uno o più destinatari ulteriori rispetto all'interrogante. Tanto più che – precisa la Cassazione – la natura del reato ex articolo 496 del Cp quale delitto contro la fede pubblica risulta proprio funzionale a garantire che le dichiarazioni siano vere per l'interesse del richiedente ma anche di un numero indeterminato di persone che di quelle dichiarazioni devono poter fare uso.
In conclusione, la Suprema corte ha ritenuto logica e immune da censure la motivazione ("rafforzata", per superare la decisione assolutoria del primo giudice che aveva escluso la rilevanza della falsità) della Corte d'appello: se alla qualità di investigatore privato si aggiunge falsamente quella di ingegnere con una specializzazione di balistica criminologica "è inevitabile che si offra un quid pluris significativo in termini di credibilità e autorevolezza", tale da integrare l'offensività richiesta dalla norma incriminatrice.

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