Professione e Mercato

Fotovoltaico, la norma italiana che riduce gli incentivi non vìola diritto europeo

Lo ha stabilito la Corte di giustizia Ue, sentenze C-798/18 e C-799/18, chiarendo che gli Stati membri hanno la facoltà, ma non l'obbligo, di adottare degli incentivi

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La normativa italiana del 2014 che ha ridotto gli incentivi per gli impianti fotovoltaici non vìola il diritto europeo. Lo ha stabilito la Corte di giustizia Ue con le sentenze C-798/18 e C-799/18.

Tra il 2003 e il 2014, alcuni imprenditori, gestori di impianti fotovoltaici in Italia, avevano concluso con il Gestore dei Servizi Energetici (GSE), società pubblica, delle convenzioni che prevedevano incentivi per la produzione di energia elettrica mediante impianti fotovoltaici.

Molti di loro (alcuni in rappresentanza dell'Anie, la federazione delle imprese elettroniche ed elettrotecniche, nel 2018 si sono rivolti al Tar del Lazio chiedendo l'annullamento della normativa che incideva negativamente sulle convenzioni in corso.

Di qui la richiesta del Tar alla Corte di Giustizia di chiarire se il diritto dell'Unione (in particolare la Direttiva 2009/28/CE sulle rinnovabili[2], gli articoli 16 – libertà d'impresa – e 17 – diritto di proprietà – della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché i principi di certezza del diritto e di protezione del legittimo affidamento), si opponga ad una normativa nazionale come quella italiana.

La Corte constata che, in base alla direttiva sulle rinnovabili, gli Stati membri hanno la facoltà, ma non l'obbligo, di adottare degli incentivi per il fotovoltaico. Pertanto, purché siano rispettati i principii generali del diritto dell'Unione – qual è il principio della certezza del diritto, che ha come corollario il principio della tutela del legittimo affidamento – la direttiva non si oppone alla modifica in senso peggiorativo di un regime di incentivi precedentemente introdotto.

La Corte sottolinea, poi, che, nelle convenzioni stipulate con i gestori di impianti fotovoltaici, il GSE si era riservato espressamente la facoltà di modificare unilateralmente il contenuto di dette convenzioni per poter tener conto dell'evoluzione del quadro normativo di riferimento: ciò indicava chiaramente che gli incentivi potevano essere adeguati, o addirittura soppressi, in forza, appunto, di modifiche legislative.

Modifiche del genere erano tanto più prevedibili in quanto le convenzioni erano valide per lunghi periodi (anche di vent'anni). Sulla scorta di tali osservazioni, la Corte conclude che "la riduzione degli incentivi o il differimento del pagamento degli stessi non comporta la violazione della certezza del diritto e del legittimo affidamento dei gestori e si inscrive, anzi, nel quadro dei limiti legali al diritto di proprietà di cui all'articolo 17 della Carta".

La Corte rileva, inoltre, che la normativa non ha comportato alcuna ingerenza nella libertà di impresa dei gestori degli impianti fotovoltaici, nella misura in cui le modifiche peggiorative "non riguardano gli incentivi già erogati ma solo quelli previsti nelle convenzioni e non ancora erogati".

Gli incentivi previsti dalle convenzioni stipulate tra il GSE e i gestori, però, "non possono essere considerati parte delle risorse di cui questi ultimi dispongono, dato che i corrispondenti importi non sono stati ancora erogati e che i gestori non possono far valere un legittimo affidamento ad ottenerne l'erogazione".

La Corte osserva, infine, che "i gestori non hanno negoziato i contenuti delle convenzioni, hanno potuto solo scegliere se aderirvi o no. Solo nell'adesione si è, cioè, estrinsecata la libertà contrattuale dei gestori. Le modifiche successive delle convenzioni in base alla nuova normativa, quindi, non costituiscono un'ingerenza nella libertà contrattuale delle parti, tanto più che il GSE si era riservato di modificarne unilateralmente il contenuto".

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