Penale

Frodi carosello: non basta l’inderdittiva, sì ai domiciliari

Lo ha affermato la Cassazione, sentenza n. 5680 depositata oggi, respingendo il ricorso di un indagato che aveva mantenuto contatti con i coindagati attraverso l’utilizzazione di utenze intestate ad altri

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di Francesco Machina Grifeo

Linea dura della Cassazione sulle misure cautelari per gli indagati per “frodi carosello”. Non basta infatti il divieto di esercitare attività di impresa o di ricoprirvi ruoli decisionali per scongiurare il pericolo di reiterazione del reato. La Terza sezione penale, sentenza n. 5680 depositata oggi, ha così dichiarato inammissibile il ricorso dell’indagato contro il ripristino dei domiciliari deciso dal Tribunale in accoglimento del ricorso del Procuratore europeo.

Secondo l’ipotesi accusatoria, l’indagato avrebbe fatto parte di un’associazione per delinquere incentrata su di una s.p.a., che aveva come oggetto la consumazione di frodi carosello per evadere l’Iva sugli acquisti intracomunitari, operativa in Italia, con ramificazioni all’estero. Inoltre, gli si contesta di avere emesso fatture per operazioni inesistenti per circa 2 milioni di euro nella sua veste di amministratore di fatto della società.

La Suprema corte nel rigettare il ricorso ricorda che, in tema di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie non va inteso come pericolo di reiterazione dello stesso fatto di reato, atteso che l’oggetto del periculum è la reiterazione di astratti reati della stessa specie e non del concreto fatto di reato oggetto di contestazione.

E la difesa invece si è limitata a proporre “mere affermazioni fattuali e generiche”, giacché risulta documentato che il ricorrente stesse cercando una “nuova collocazione in seno alla società” e che fosse disposto a “perseverare nella collaborazione” anche con una veste diversa. In questo quadro, spiega la Corte, neanche il fallimento della Spa ha rilevanza al fine di escludere le esigenze cautelari, considerato che “nel sistema delle frodi carosello è del tutto fisiologico che le società cartiere falliscano”.

Non solo. “Anche la motivazione circa l’inidoneità di una misura alternativa a quella degli arresti domiciliari – argomenta la decisione - deve considerarsi pienamente logica è coerente, laddove evidenzia che una mera misura interdittiva non sarebbe in grado di arginare la pericolosità criminale del ricorrente, soggetto che ha commesso i reati oggetto di contestazione avvalendosi di prestanome e mantenendo i contatti con i coindagati attraverso l’utilizzazione di utenze intestate ad altri”. Si tratta, aggiunge la Corte, di modalità “particolarmente sintomatiche della professionalità e dell’esperienza spese per perseverare nel suo proposito criminoso, a cui si aggiunge la capacità di chiudere e aprire svariate società da utilizzare all’interno del sistema appena descritto”.

“Dunque, conclude la Cassazione, secondo la corretta valutazione del Tribunale il solo divieto di esercizio dell’attività di impresa o di ricoprire ruoli all’interno di società non sarebbe idoneo ad impedire al ricorrente di reiterare i reati oggetto di contestazione”.

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