Penale

Furto aggravato per i ladri di olive perché battono gli alberi usando violenza sulle cose

È quanto ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 36022/2022.

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di Marina Crisafi


Furto aggravato per i ladri di olive perché per impossessarsi di un maggior quantitativo battono gli alberi usando violenza sulle cose. È quanto ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 36022/2022.

La vicenda
Nella vicenda, la corte d'appello di Bari, confermando la decisione di primo grado, riteneva i due imputati responsabili del reato di furto pluriaggravato in concorso, perché si sarebbero impossessati di una cospicua quantità di olive, sottraendoli al proprietario del fondo dove insistevano gli alberi.
Entrambi ricorrono in Cassazione deducendo che il tutto si sarebbe fermato al mero tentativo, posto che tutta l'azione era stata consumata sotto la diretta osservazione del proprietario del fondo fino all'intervento dei militari. Perciò il furto non si sarebbe mai consumato.
I due contestano inoltre la ritenuta sussistenza dell'aggravante della violenza sulle cose (atteso che le olive sarebbero state raccolte mediante la tecnica della battitura che, notoriamente, non sarebbe qualificabile come violenza) e di quella dell'esposizione a pubblica fede (trattandosi, per le olive, di circostanza riconducibile non a una scelta dell'uomo, ma a una condizione naturale sottratta alla volizione del proprietario).

Furto consumato o tentato?
Per gli Ermellini, però, il furto è bello che consumato.
Il reato infatti spiega la Cassazione, "si consuma nel momento in cui il soggetto agente, dopo aver sottratto il bene al detentore, se ne impossessa, acquisendone la piena e autonoma disponibilità. Cosicché, finché la cosa non sia uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore e questi sia ancora in grado di recuperarla, la condotta di apprensione del bene rimane allo stadio di mero tentativo".
L'accertamento dell'esistenza o meno di un pieno e autonomo potere di disporre del bene sottratto (e, parallelamente, della capacità della persona offesa di recuperare la refurtiva), "risente, tuttavia, da un canto, dello specifico contesto all'interno del quale si inserisce la condotta di sottrazione e, dall'altro, della particolare natura del bene sottratto".
Ove il bene sia soggetto a una continua sorveglianza, non basta la sottrazione del bene alla disponibilità del detentore ma occorre anche che l'autore eluda i sistemi di controllo, perché solo in questo momento si recide la signoria esercitata dal detentore. Ma quando il bene non sia sotto la diretta e continua sorveglianza da parte del detentore, e sia esposto alla pubblica fede, non vi sono strumenti di controllo e tutela che devono essere elusi o superati e l'impossessamento si perfeziona attraverso qualsiasi condotta che manifesti (e sia concretamente idonea ad imporre) una signoria sulla cosa.

Nel caso di specie, i ricorrenti una volta entrati nel fondo avevano raccolto le olive e le avevano risposte in sacchi, per cui tale condotta "rappresenta effettivo esercizio di un autonomo potere di disposizione del bene stesso e, conseguentemente, idonea modalità di impossessamento". Né rilevano ai fini della consumazione del reato, il limitato lasso di tempo in cui la signoria è stata esercitata o il fatto che gli stessi, ancora intenti a raccogliere olive, non si siano allontanati dal luogo, o ancora l'intervento del proprietario che si è limitato ad avvisare i militari della presenza dei ladri.

Aggravante della violenza sulle cose
Anche la doglianza sull'aggravante della violenza sulle cose per i giudici di piazza Cavour è infondata. La stessa infatti sussiste "qualora il soggetto usi energia fisica per commettere il fatto, provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento di destinazione".
Per cui, anche "l'abbattimento o la recisione di rami di un albero piantato al suolo (o la semplice potatura, se effettuata invito domino), in quanto rottura o danneggiamento dell'albero (nella sua parte legnosa), integra l'aggravante della violenza sulle cose". Ciò è accaduto in concreto, in quanto i ricorrenti, per accelerare i tempi di raccolta, hanno fatto uso di energia fisica, "battendo" l'albero, causando la recisione di alcuni rami e, così, danneggiandolo.

Aggravante dell'esposizione alla pubblica fede
Anche l'aggravante dell'esposizione alla pubblica fede è corretta per la S.C., sebbene l'esposizione "derivi non da un'opera dell'uomo, ma da una condizione originaria della cosa". Siffatta interpretazione (cfr., ex multis, Cass. n. 13431/2022), "è coerente – infatti - sia con il carattere neutro del dato letterale (‘esposte'), che prescinde dalla fonte e dalle ragioni dell'esposizione, sia con la funzione (di protezione oggettiva) della norma". Cosicché, che gli alberi e i relativi frutti siano esposti alla pubblica fede per fatto (attivo od omissivo) dell'uomo o per loro condizione originaria, conclude la Corte rigettando i ricorsi, "è circostanza irrilevante ai fini della configurabilità dell'aggravante aggravante di cui all'art. 625, n. 7, del codice penale".

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