Lavoro

Geolocalizzazione dei dipendenti in smart working

I limiti imposti dall'articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori e gli strumenti di lavoro che consentono il controllo a distanza

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di Ornella Patanè*

È possibile geolocalizzare i dipendenti in smart working? Questa, probabilmente, è la domanda che, sempre più di frequente, i datori di lavoro si pongono da quando la pandemia Covid-19 ha imposto il "lavoro agile".

La caratteristica principale dello smart working è che è il dipendente a definire autonomamente i tempi ed i luoghi di lavoro; tale auto-determinazione non sottrae, tuttavia, il lavoratore agile al potere di controllo del datore di lavoro. La prestazione di lavoro, infatti, seppur "agile" rimane di natura subordinata e, in quanto tale, assoggettata al potere di controllo del datore di lavoro. Ciò che cambia è l'oggetto del controllo - che non può essere costituito dai tempi e dai luoghi di lavoro, che vengono determinati dal lavoratore agile - e, parzialmente, le modalità di esercizio dello stesso.

Nel lavoro agile, il controllo sulla prestazione lavorativa può essere esercitato quasi esclusivamente a distanza e, per questo, solo nei limiti indicati dall'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. 20 maggio 1970, n. 300), che disciplina l'esercizio del potere di controllo a distanza nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato.

L'importante novità introdotta da una riforma del 2015 che ha modificato tale norma, è che non è più richiesto alcun accordo sindacale o autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro per l'installazione e l'utilizzo di strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, o di strumenti di lavoro utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza da parte del datore di lavoro.

Al contrario, il previo accordo sindacale o la previa autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro sono ancora necessari per installare un impianto di videosorveglianza sul posto di lavoro ed in genere tutti gli strumenti, che non costituiscono strumenti di lavoro, la cui installazione sia necessaria per soddisfare esigenze organizzative e produttive del datore di lavoro, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori.

Inoltre, perché i dati raccolti attraverso tutti gli strumenti che precedono (strumenti di lavoro e non) siano utilizzabili dal datore di lavoro, a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro - compresi quelli premiali o disciplinari - occorre che il datore di lavoro abbia fornito ai dipendenti un'adeguata informazione sulle modalità di utilizzo degli strumenti e di effettuazione dei controlli. Per quanto riguarda gli strumenti di geolocalizzazione, occorre, quindi, verificare, caso per caso, se questi costituiscano o meno uno strumento di lavoro: se, quindi, sia necessario o meno, per poterli installare ed utilizzare, l'accordo sindacale o l'autorizzazione da parte dell'Ispettorato del Lavoro.

Sulla questione, si è pronunciato l'Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare 2/2016, precisando che, costituiscono "strumenti di lavoro" ai sensi dell'art. 4 comma 2, dello Statuto dei Lavoratori, i dispositivi che «costituiscono il mezzo indispensabile al lavoratore per adempiere la prestazione lavorativa dedotta in contratto, e che per tali finalità siano stati posti in uso e messi a sua disposizione». In tal modo, l'Ispettorato ha fornito un'interpretazione assai restrittiva dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori ove non si fa riferimento solo a «strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione», siano essi indispensabili a tal fine o anche solo opportuni per rendere maggiormente efficiente la prestazione lavorativa.

Secondo la prospettiva dell'Ispettorato del Lavoro, invece, i sistemi di geolocalizzazione rappresentano uno strumento aggiunto agli strumenti di lavoro e non costituiscono, essi stessi, strumenti di lavoro ed in quanto tali possono essere installati solo con accordo sindacale o autorizzazione da parte dello stesso Ispettorato, se ne sussistano i presupposti di legge. Nello stesso provvedimento, l'Ispettorato precisa che esistono casi particolari in cui i dispositivi di geolocalizzazione possano trasformarsi in veri e propri strumenti di lavoro: in particolare, nelle ipotesi in cui la prestazione lavorativa non possa essere resa senza ricorrere all'utilizzo di tali dispositivi e in quelle nelle quali l'installazione degli stessi sia richiesta da specifiche normative.

Da ultimo, nel novembre 2019, l'Ispettorato ha concesso un'autorizzazione ad installare dei sistemi di geolocalizzazione sugli smartphone dei dipendenti, che svolgono consegne sul territorio, ritenendo che questi, pur non costituendo essi stessi strumenti di lavoro, rispondessero ad esigenze organizzative e produttive aziendali, oltre che di sicurezza del lavoro. Nello stesso senso, si è pronunciato anche il Garante per la protezione dei dati personali, confermando, in più occasioni (si vedano ad esempio i provvedimenti 138/2017 e 362/2018), che gli strumenti di geolocalizzaizone non costituiscono strumenti di lavoro, ma strumenti di controllo, che accedono ai primi e che solo in casi del tutto particolari «si può ritenere che finiscano per trasformarsi in veri e propri strumenti di lavoro».

Può, quindi, concludersi che non è possibile installare degli strumenti di geolocalizzazione che abbiano l'esclusiva finalità di controllare a distanza i lavoratori in smart working; a meno che tali strumenti non costituiscano strumenti di lavoro o non siano necessari per soddisfare esigenze organizzative e produttive del datore di lavoro, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, e dai quali derivi anche un controllo a distanza dell'attività dei lavoratori in smart working.

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*Partner di Toffoletto De Luca Tamajo

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