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Greenwashing, il quadro sanzionatorio e le interrelazioni con le fattispecie di rilevanza penale

La diffusione di informazioni fuorvianti o prive di fondamento può perfezionarsi in ogni fase del ciclo di vita dei dati ambientali e divenire una pratica così fortemente integrata nel processo generale di divulgazione dei dati tale da rendere i casi di greenwashing difficilmente individuabili

A man holding a judge's gavel symbolizes the services of a lawyer, the judicial system, and legal rights. Judicial authority, legal representation, justice. Protection of rights.

di Marco Letizi*

Negli ultimi anni, si è registrata una evidente attività di front loading da parte delle imprese in tema di green marketing, dovuta a una sempre più stringente normativa di settore e alla pressione degli investitori e dei consumatori.

Ciò ha determinato un significativo scollamento tra il crescente numero di green claims aziendali e le azioni concretamente implementate dalle imprese per ridurre l’impatto ambientale, spesso non supportate dai necessari adeguamenti organizzativi e che spesso si traducono sul piano pratico in spese in conto capitale per l’acquisto di immobilizzazioni immateriali, che costituiscono solo una frazione residuale degli importi necessari per ridurre l’impronta di carbonio complessiva dell’organizzazione.

Infatti, il focus del green marketing aziendale si è spostato dai dati effettivi sulle performance ex post agli obiettivi teorici e predittivi delle performance ex ante. Il compito degli organismi deputati al controllo è quindi quello di quantificare le eventuali discrasie esistenti tra le comunicazioni ambientali ex ante e le concrete, tangibili e misurabili iniziative poste in essere dalle imprese e la valutazione dei relativi risultati ex post.

La maggior parte dei mercati dei capitali in Europa si basa ancora principalmente sulle dichiarazioni predittive ex ante, su dati non certificati, non verificati e auto-dichiarati e l’assenza di rigorosi processi di convalida spesso incentiva una buona parte delle imprese a perseguire strategie di basso rischio/alto rendimento connesse ad attività di disinformazione. La diffusione di informazioni fuorvianti o prive di fondamento può perfezionarsi in ogni fase del ciclo di vita dei dati ambientali e divenire una pratica così fortemente integrata nel processo generale di divulgazione dei dati tale da rendere i casi di greenwashing difficilmente individuabili. 

Con la pubblicazione della Guida rapida per le aziende sul marketing ambientale del 2021, l’Ombudsman danese è intervenuto sull’uso improprio dei green claims, affermando che se dette affermazioni ambientali non sono supportate da una valutazione del ciclo di vita (Life Cycle Assessment - LCA) allora si tratta di greenwashing.

La Guida danese è destinata a fare scuola, in quanto afferma un concetto disruptive: non è possibile definire genericamente «sostenibile» un prodotto o un servizio ma è necessario effettuare una valutazione del ciclo di vita (LCA) per poter fare affermazioni ecologiche senza incorrere nel rischio di greenwashing, in altri termini, è necessario calcolare l’impatto ambientale in ogni fase del ciclo di vita di un prodotto, servizio, organizzazione e processo.

Nella stessa direzione si è orientato anche il garante dei consumatori italiano che ha più volte ribadito come la metodologia LCA rappresenti l’unico robusto supporto capace di fornire dati e informazioni incontestabili per i green claims relativi ai prodotti. LCA è una metodologia di analisi che corrisponde alle norme ISO internazionali ISO 14040, 14064, 14067 e che può essere certificato da soggetti terzi indipendenti.

LCA non è una label ma un vero e proprio strumento di analisi. Ovviamente LCA è una metodologia complessa che studia fenomeni complessi e in quanto tale presenta un grado di attendibilità che dipende dalla genuinità e completezza dei dati che vengono utilizzati nello studio e nella metodologia applicata.

Per fare un esempio di quanto sia complicato determinare l’esatta quantità di emissioni di un’impresa da tener conto nell’ambito della metodologia LCA, si pensi alle emissioni scope 3, emissioni indirette di gas a effetto serra derivanti dalle attività di trasporto, dall’uso dei prodotti da parte dell’organizzazione, che sono oggettivamente difficili da quantificare e che, secondo una recente relazione di Deloitte, citata anche dal World Economic Forum, sono responsabili, in media, di oltre il 70% dell’impronta di carbonio delle imprese; o, ancora, si pensi alle emissioni scope 4, emissioni di gas serra che possono essere evitate grazie all’adozione di soluzioni innovative, tra cui tecnologie avanzate, pratiche di business migliorate e cambiamenti comportamentali che riducono l’impatto ambientale complessivo di un’azienda.

Attraverso LCA è possibile determinare le eventuali discrepanze (greenwashing) tra i dati in termini di prestazioni ambientali riferiti ai prodotti o servizi comunicati dall’impresa (ex ante) con i risultati derivanti dalla metodologia LCA (analisi comparata tra i dati esaminati ex ante e le successive fasi ex post di misurazione, rendicontazione e verifica).

Quadro normativo e sanzionatorio del greenwashing in Italia

In Italia, le procedure di accertamento e sanzionatorie rispetto ai green claims ritenuti scorretti o ingannevoli da parte dei competenti organi di controllo sono attualmente disciplinate dal Codice del Consumo e dal Codice di Autodisciplina della comunicazione commerciale. Gli organismi con poteri di accertamento e sanzionatori sono l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust) e l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP). Le imprese che pongono in essere pratiche di greenwashing possono incorrere in sanzioni pecuniarie anche piuttosto pesanti. Nel provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Antitrust può disporre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5 mila a 10 milioni di euro tenuto conto:

  • delle informazioni sul fatturato annuo del trasgressore;
  • della natura, gravità, entità, durata della violazione ed eventuali casi di recidiva;
  • delle azioni intraprese dal trasgressore per attenuare il danno subito dai consumatori o per porvi rimedio;
  • del vantaggio economico conseguito o delle perdite evitate dal trasgressore in conseguenza della violazione;
  • delle eventuali sanzioni inflitte al trasgressore per la medesima violazione in altri Stati membri in casi di infrazioni intra-UE. 

Alla sanzione pecuniaria amministrativa comminata dall’Antitrust si può ricorrere innanzi al TAR e, in secondo grado, al Consiglio di Stato. In Italia, esiste un secondo organismo che ha poteri di accertamento e sanzionatori in tema di comunicazioni commerciali ingannevoli riconosciuto dal Codice del Consumo che è appunto lo IAP, il cui Giurì qualora stabilisca che la comunicazione commerciale non sia conforme alle norme del codice di autodisciplina emette una ingiunzione di desistenza, disponendo che le parti interessate desistano dalla stessa. L’articolo 12 “Tutela dell’ambiente naturale” del Codice di Autodisciplina censura i green claims generici, ingannevoli e non supportati da dati scientificamente verificabili. È importante osservare che, in Italia, è possibile tutelare i diritti dei consumatori con riferimento ai casi di greenwashing anche mediante la giurisdizione del giudice ordinario in materia di concorrenza sleale, a norma dell’articolo 2598 del codice civile, come previsto dal comma 15 dell’articolo 27 del Codice del Consumo. 

Interrelazioni tra il fenomeno del greenwashing e fattispecie penali

In Italia, così come in diversi altri Stati UE, il greenwashing è disciplinato in un ambito civilistico e amministrativo. Eppure, tale fenomeno è spesso indicatore di gravi fattispecie di rilevanza penale.

Ipotizziamo, ad esempio, un’impresa che abbia partecipato a una gara d’appalto indetta da un ente regionale per la realizzazione di un impianto che produce energia rinnovabile dal trattamento dei rifiuti e che la realizzazione di tale impianto sia cofinanziato con fondi europei e contributi nazionali.

Immaginiamo che il bando preveda che l’impianto venga realizzato secondo una serie di requisiti tecnici e che, una volta in funzione, rispetti taluni parametri tassativamente indicati di natura qualitativa e quantitativa (qualità e quantità dell’energia rinnovabile prodotta, livello delle emissioni inferiore a una certa soglia, valorizzazione delle materie prime seconde, riutilizzo e riciclo degli scarti della lavorazione, etc.).

Ipotizziamo ora che l’impianto venga ultimato e che entri in funzione ma che non rispetti né i requisiti tecnici né i parametri previsti nel bando e ciò in quanto l’impresa ha indebitamente ridotto i costi di realizzazione per lucrare sui finanziamenti europei e i contributi nazionali. Inoltre, supponiamo che l’impresa abbia falsificato tutta o parte della documentazione amministrativa, dichiarando falsamente di aver realizzato l’impianto nel rispetto dei requisiti tecnici e parametri previsti nel bando.

È verosimile poi che la stessa impresa promuova commercialmente la sua attività attraverso forme di green marketing che si fondano su comunicazioni non rispondenti al vero e ciò in quanto né la produttività né la gestione dell’impianto risultano conformi ai parametri quali-quantitativi previsti nel bando. Non v’è dubbio che gli amministratori della società pongano in essere pratiche di greenwashing ma le responsabilità in capo agli amministratori della società avranno anche una rilevanza penale. Infatti, la condotta potrebbe integrare ipotesi di:

  • truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche in danno del bilancio nazionale e dell’Unione europea;
  • reati tributari ai sensi del D.Lgs. n. 74/2000, in quanto la condotta aziendale in precedenza descritta potrebbe integrare il reato di cui:

- all’articolo 2, poiché gli amministratori della società potrebbero aver presentato una dichiarazione infedele mediante l’annotazione di componenti positivi di reddito in misura inferiore a quella reale attraverso l’uso di fatture per operazioni inesistenti, o attraverso l’indicazione di costi inesistenti o ancora mediante altri artifici. Tale fattispecie di reato è connessa a quella dell’articolo 8, in quanto gli amministratori di società terze conniventi, fornitrici della società percettrice dei finanziamenti per la realizzazione dell’impianto, potrebbero aver emesso fatture per operazioni inesistenti in modo da consentire a quest’ultima di giustificare le spese (in realtà mai o solo parzialmente sostenute) per la realizzazione dell’impianto;

- all’articolo 3, in quanto gli amministratori della società, al fine di evadere le imposte, potrebbero indicare in dichiarazione elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi attraverso operazioni simulate, sotto il profilo oggettivo o soggettivo, ovvero potrebbero avvalersi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei a impedire l’accertamento e a indurre in errore l’amministrazione finanziaria, conformemente alle condizioni poste dalla stessa norma;

  • delitti ambientali (inquinamento ambientale, disastro ambientale, delitti colposi contro l’ambiente, traffico illegale di rifiuti, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività impedimento del controllo, omessa bonifica, ecc.);
  • riciclaggio o autoriciclaggio, in quanto il denaro, i beni o le altre utilità derivanti dalla commissione delle attività delittuose poste in essere dagli amministratori della società potrebbero essere impiegati, sostituiti, trasferiti, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa;
  • impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nell’ipotesi i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione derivanti dalle attività delittuose poste in essere dagli amministratori della società vengano produttivamente investiti in attività economiche o finanziarie;
  • False comunicazioni sociali (articoli 2621 c.c. e 2622 c.c.) nell’ipotesi in cui i possibili autori del reato (amministratori, direttori generali, dirigenti, sindaci e liquidatori) preposti alla redazione dei documenti contabili societari, che, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore.
    Al riguardo, nell’ipotesi la società sia obbligata a presentare la rendicontazione individuale di sostenibilità, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2024, n. 125 (di recepimento della direttiva 2022/2464/UE), il Regolamento delegato (UE) 2023/2772 della Commissione del 31 luglio 2023, in vigore dal 1 gennaio 2024, all’articolo 8.2, comma 112, stabilisce che la rendicontazione non finanziaria deve essere inserita in una sezione specifica della relazione sulla gestione e ciò impone un approfondimento circa la possibile integrazione del reato di false comunicazioni sociali con riferimento ai temi di sostenibilità.

È interessante osservare come già il D.Lgs. 30 dicembre 2016, n. 254 (di recepimento della direttiva 2014/95/UE, Non-Financial Reporting Directive), nel comminare le sanzioni amministrative in danno di amministratori e revisori per informazioni omesse o false, faceva salva l’applicazione di fattispecie di reato più gravi, precisando che solo le informazioni materiali e rilevanti fornite od omesse potevano integrare il reato di false comunicazioni sociali. Il reato di false comunicazioni sociali, con riferimento ai temi ESG, potrebbe ritenersi integrato nell’ipotesi in cui i fatti descritti nella rendicontazione individuale o consolidata di sostenibilità prevista dal D.Lgs. n. 125/2024:

- impattino sulla situazione economico, patrimoniale o finanziaria dell’impresa, in modo tale che le rappresentazioni di fatti dotati di una rilevanza economica siano in grado di impattare sul valore dell’impresa e possono quindi potenzialmente integrare il reato di false comunicazioni sociali;

- siano materiali e rilevanti e presuppongono che i principi europei di rendicontazione di sostenibilità (ESRS) introdotti dalla direttiva 2022/2464/UE e i cui criteri applicativi vengono dettagliatamente delineati nel Regolamento delegato (UE) 2023/2772, siano omogenei, specifici e vincolanti.

È importante sottolineare come tutte le fattispecie penali in precedenza menzionate rappresentino reati presupposto, ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001 che, in caso di accertata responsabilità amministrativa dell’ente dipendente da reato, determinano l’irrogazione di pesanti sanzioni pecuniarie amministrative, sanzioni interdittive, confisca e pubblicazione della sentenza. È evidente, quindi, l’intima correlazione esistente tra i reati presupposto ai sensi del D.Lgs. 231/2001 e bassi livelli di compliance ESG che, spesso, si manifestano sotto forma di green claims ingannevoli (greenwashing).

In ultima analisi, oltre a un sistema di controllo e sanzionatorio efficace, è essenziale che gli organi deputati al controllo e all’eventuale irrogazione di sanzioni siano tecnicamente preparati per identificare casi di greenwashing nelle imprese. Senza un’adeguata attività di controllo, stringenti obblighi normativi e framework di misurazione, rendicontazione e verifica basati sulla scienza, il greenwashing rischia di trasformarsi in uno dei maggiori ostacoli per il conseguimento dei tanto auspicati obiettivi di neutralità climatica.

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*Marco Letizi, PhDAvvocato Dottore Commercialista e Revisore Legale, Global Consultant Nazioni Unite Commissione europea Consiglio d’Europa, CEO & Founder ESG Compliance, Autore