Comunitario e Internazionale

Greenwashing, la tutela della disciplina sui marchi d'impresa in attesa della Direttiva comunitaria

In attesa della emananda Direttiva comunitaria, la tutela dei consumatori e delle imprese virtuose nel settore green trova nella disciplina sui marchi una normativa speciale ma limitata in quanto riferibile al solo titolo giuridico della validità del segno

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di Clizia Cacciamani, Francesca Sutti*

Al fine di creare un'immagine positiva sia attorno ai propri prodotti e servizi che attorno alla azienda stessa, molti si presentano come ecologici e sostenibili anche quando non lo sono. È in questo che consiste il c.d. greenwashing, ossia nel cavalcare l'onda della crescente attenzione per l'ambiente a meri scopi di marketing e, soprattutto, senza che vi sia un vero fondamento per i vanti sbandierati oppure si tratta anche solo di esagerazioni o sovrastime.

Per i consumatori il greenwashing è dannoso perché manipola le scelte di coloro che cercano prodotti o servizi ecologici. È però anche sleale nei confronti di quelle aziende che si impegnano genuinamente per ottenere risultati nel campo della sostenibilità.

A essere onesti, bisogna però ammettere che alcune aziende cadono nella trappola senza dolo, per via della leggerezza con cui pianificano e gestiscono le proprie comunicazioni all'esterno.

La materia è in fase di regolamentazione da parte dell'Unione europea ma intanto, in Italia, l'Autorità Garante della concorrenza e del mercato, l'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria nonché le corti civili si trovano sempre più ad analizzare casi di greenwashing o presunto tale. Per inciso, l'Autorità Garante della concorrenza e del mercato può infliggere sanzioni fino al 4% del fatturato dell'impresa.

Il fenomeno pare essere molto diffuso: secondo la Commissione europea:
- il 53% dei vanti affermati è vago, confusorio o infondato,:
- il 40% non è supportato da evidenze,
- la metà è totalmente o parzialmente non verificabile. Infatti è in fase di finalizzazione una direttiva per l'appunto sul greenwashing.

Il greenwashing può essere valutato da diversi punti di vista. Innanzitutto, come violazione delle norme italiane ed europee, poste a tutela del consumatore, ma anche come atto di concorrenza sleale, ovvero violazione della privativa di diritto industriale o perfino come reato.

Vi sono poi altre fonti internazionali, come il c.d. Framework for Responsible Environmental Marketing Communications della International Chamber of Commerce (ICC) e nazionali come l'Art.12 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale dall'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP): tra hard law e soft law, un variegato numero di disposizioni, dunque, cui si va ad aggiungere la Proposta di direttiva sui green claim, pensata per assicurare al consumatore la possibilità di fare scelte consapevoli.

Cerchiamo allora di stilare un breve elenco dei comportamenti più frequenti da evitare.

• Le affermazioni devono avere un fondamento che sia veritiero

Volkswagen ha commercializzato diverse autovetture con motorizzazioni sia diesel che benzina, diffondendo valori di emissioni inquinanti o impattanti sull'ambiente non conformi ai valori dichiarati in sede di omologazione...- AGCM, VOLKSWAGEN – EMISSIONI INQUINANTI VEICOLI DIESEL PS10211 del 04.08.2016

• Non devono essere vaghe

Nell'esempio in oggetto si trattava di soluzioni di derattizzazione smart 100% green senza nessuna indicazione a sostegno di tale assoluta promessa di ecologicità. L'affermazione risulta illusoria, poiché il messaggio non permette di comprendere con chiarezza attraverso quale aspetto del prodotto o dell'attività pubblicizzata si ottenga il beneficio ambientale vantato in termini assoluti e perentori, che resta, pertanto, del tutto generico. IAP A. S.r.l. (ing. n. 46/2021).

• Non devono essere confusionarie

Una nota applicazione aveva introdotto una clausola c.d. "Clean air fee" ("quota aria pulita") per il pagamento di una corsa taxi mediante l'applicazione "FREE NOW" indicandone con scarsa chiarezza il costo, la natura e le finalità, nonché le condizioni del suo addebito. AGCM, PS12190 FREE NOW -CLEAR AIRFEE del 05.07.2022.

• Devono essere verificabili

Lo IAP ha censurato la pubblicità "Solo Mare Aperto ha un'apertura facile e sicura", in quanto ingannevole e non corrispondente alla realtà. Difatti, secondo il Giurì, l'inserzionista non ha mai dimostrato che i sistemi di apertura dei concorrenti siano insicuri rispetto a quelli di Mare Aperto - Bolton Food S.p.A. c. Mare Aperto Food S.r.l. (pron. n. 4/2021)

Altresì a tutela dei consumatori e contro pratiche di unfair competition può essere applicata la disciplina sui marchi d'impresa sia a livello italiano che europeo.

A ben vedere, il marchio sublima in sé l'essenza e le qualità del prodotto o servizio, comunicando messaggi anche di sostenibilità ambientale.

In un periodo di c.d. information overload, dove si ha un eccesso di notizie ed informazioni commerciali soprattutto date dai social network, il marchio assume un valore comunicativo predominante, sintetizzando nel brand il messaggio che si vuole dare al prodotto o servizio che contraddistingue.

Da uno studio (Green EU trademarks 2022 Update) presentato nel febbraio 2023 dall' E.U.I.P.O. (Ufficio dell'Unione Europea per la proprietà intellettuale) risulta evidente la crescita esponenziale dei depositi dei c.d. green trademarks, ossia segni che richiamano i valori della qualità ambientale facendoli propri nella parte denominativa e/o figurativa del marchio.

La analisi dell'E.U.I.P.O. evidenzia che dal 1996 i c.d. green trademarks sono cresciuti in maniera esponenziale, raggiungendo nell'ultima decade sino al 12% dei segni registrati come marchi europei.

Si è passati da 1.588 marchi europei green registrati nel 1996 a ben 19.000 nel 2021, passando da una percentuale del 4% nel 1996 al 12% nel 2021, sul totale dei segni depositati presso l'Ufficio marchi dell'Unione europea.

A fronte di questo notevole incremento dei segni green di cui sopra, l'E.U.I.P.O. così come gli Uffici Marchi nazionali compreso in Italia l' U.I.B.M. (Ufficio italiano Brevetti e Marchi), hanno posto ancor maggiore attenzione nella fase di esame di registrabilità e validità di tali segni sulla base di due principi cardine del diritto industriale:
il divieto di registrazione dei marchi descrittivi ( Art.7 co.1 lett.b Reg. EU 2017/1001 ) e dei marchi decettivi (Art.7 co.1 lett.g Reg. EU 2017/1001).

In tema di marchi descrittivi, la norma europea come quella italiana (art. 13 Codice della Proprietà industriale) prevede l'esclusione della registrazione di marchi privi di carattere distintivo. Nello specifico, le disposizioni legislative escludono la registrabilità dei marchi descrittivi in senso stretto, ossia di segni che sono esclusivamente caratterizzati da elementi che designano la qualità, le caratteristiche del prodotto o sono termini di uso comune.

Pertanto appare evidente che parole, come "ECO" o "GREEN", siano da considerarsi termini generici, in quanto comunemente usate dai consumatori.

Sulla base di tale criterio sono stati rigettati dall'E.U.I.P.O. domande di marchi europei considerati descrittivi, vale a dire "GREENLINE", "CARBON GREEN", "ECOPERFECT" e "ECODOOR".

Tuttavia, qualora tali segni siano utilizzati in associazione con parole o immagini aventi una elevata capacità distintiva, l'esame circa la descrittività del marchio potrebbe essere ampiamente superato.

Occorre però anche ricordare come gli Esaminatori degli Uffici Marchi possano comunque rigettare la domanda di marchio anche non descrittiva, sulla base dell'ulteriore divieto posto sul segno, ossia la decettività o ingannevolezza dello stesso, secondo cui un marchio non deve indurre in errore il consumatore circa la natura, qualità o provenienza del prodotto o servizio.

L'errore determinerebbe infatti una falsa rappresentazione della realtà, che per quanto concerne il pubblico, potrebbe poi tradursi in una sbagliata scelta di acquisto, a discapito magari di prodotti, questi sì "veritieri" (ad esempio è stato rigettato il marchio figurativo di una mucca capovolta a rappresentare prodotti per vegani in quanto considerato ingannevole per il pubblico e quindi decettivo).

Occorre precisare tuttavia che il profilo di analisi di cui si possono in tal caso occupare gli Uffici competenti attiene solo e strettamente al marchio, senza poter verificare ulteriori elementi che nella comunicazione al pubblico potrebbero essere considerati rilevanti, seppur fuorvianti o non veritieri.
In tale ambito infatti non possono essere verificati ulteriori profili altrettanto importanti nella comunicazione del prodotto o servizio che possono esulare dal marchio stesso (es. campagne promozionali che richiamano ingannevolmente alla sostenibilità).

Pertanto l a tutela dei consumatori e delle imprese virtuose nel settore green, trova nella disciplina sui marchi una normativa speciale ma limitata ai soli profili di validità del segno in quanto titolo giuridico.

In definitiva, al fine di attuare una completa salvaguardia dei consumatori e di tutelare le imprese che p erseguono effettivamente criteri di sostenibilità e che non attuano il greenwashing è d'obbligo coniugare le normative sulla tutela dei marchi con quelle del Codice di Autodisciplina della comunicazione commerciale o della normativa europea sulle pratiche commerciali scorrette. Tutto ciò in speranzosa attesa dell'emananda direttiva europea.

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*A cura di Clizia Cacciamani, Partner di Innova&Partner, e Francesca Sutti, Partner dello Studio WLex


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