Civile

I principi fondamentali dell'Iva regolano la riduzione della base imponibile

Corte di Giustizia UE causa C-335/19 del 15 ottobre 2020

di Francesco Zondini*


Tramite la sentenza della Corte di Giustizia UE causa C-335/19 del 15 ottobre 2020, è stato ribadito uno dei principi fondamentali del sistema IVA, secondo il quale la base imponibile IVA deve corrispondere all'importo realmente ricevuto dal cedente/prestatore e l'Amministrazione finanziaria non può riscuotere una somma superiore a quella incassata dal contribuente.

In caso di mancato pagamento del corrispettivo pattuito, il fornitore ha il diritto a ridurre la base imponibile IVA, al fine di poter recuperare l'IVA versata tramite l'emissione di nota di credito e a prescindere dal fatto che il debitore detenga la qualifica di soggetto passivo IVA.

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'articolo 90 della Direttiva IVA, presentata nell'ambito di una controversia tra una società polacca esercente attività di consulenza tributaria e l'Amministrazione finanziaria locale.

In particolare, la società aveva richiesto un parere tributario circa la possibilità di ridurre la base imponibile IVA relativa ad una fattura – non pagata - emessa nei confronti di un cliente soggetto passivo IVA, posto in liquidazione successivamente alla data di effettuazione dell'operazione.

Il Fisco polacco rispondeva negativamente, considerato che la legge IVA domestica subordina la riduzione della base imponibile alle seguenti condizioni:

- mantenimento della qualifica di soggetto passivo IVA per entrambe le parti coinvolte;
- mancato assoggettamento a procedura di insolvenza o liquidazione del debitore.

Ciò premesso, tuttavia si osserva che ai sensi dell'art. 90 della Direttiva IVA, il fornitore procede alla riduzione della base imponibile e della relativa IVA dovuta ogni volta che, successivamente alla conclusione di un'operazione, non percepisce il corrispettivo in tutto o in parte, in modo tale che l'IVA risulti versata solamente su quanto effettivamente incassato.

Lo stesso art. 90 consente comunque agli Stati membri di prevedere misure più stringenti circa le modalità che consentono il diritto alla riduzione della base imponibile IVA, in particolar modo in caso di mancato pagamento totale o parziale. La libertà ivi accordata è volta ad assicurare la corretta riscossione dell'IVA ed evitare l'insorgere di fenomeni di evasione dell'imposta, in ragione delle difficoltà che potrebbero emergere nel nell'accertare la definitività di un mancato incasso. Le restrizioni previste dalle disposizioni nazionali dovrebbero però essere in ogni caso accordate nel rispetto dei principi di neutralità fiscale e di proporzionalità, ossia "nei limiti strettamente necessari per raggiungere tale specifico obiettivo".

Nella fattispecie esaminata, i vincoli imposti dalla legge IVA polacca, che implicano da un lato il mantenimento dello status di soggetto passivo IVA del debitore e del creditore e
di insolvenza o liquidazione del debitore, mal si conciliano rispetto ai summenzionati principi comunitari e sono state infatti ritenute incompatibili dalla Corte di Giustizia UE con il dettato dell'art. 90 della Direttiva IVA, che intende tutelare il diritto del fornitore di ridurre la base imponibile IVA ogni volta che, successivamente alla conclusione di un'operazione, non riceva il corrispettivo previsto o ne riceva solo una parte.

La Corte evidenzia che tale disposizione risulta strettamente collegata all'art. 185 della Direttiva IVA che disciplina la rettifica della detrazione dell'imposta inizialmente operata da parte dell'acquirente a seguito del verificarsi di eventi sopraggiunti tali da pregiudicare l'esatto ammontare dell'IVA dovuta in relazione ad operazioni effettuate. In particolare, laddove uno Stato membro preveda che, a determinate condizioni, un soggetto passivo IVA possa ridurre la base imponibile successivamente alla conclusione di un'operazione, è tenuto altresì ad applicare l'articolo 185, paragrafo 2, secondo comma della Direttiva IVA, affinché l'acquirente possa rettificare l'importo di IVA detratta. La combinazione di queste due norme consente pertanto di riconciliare il corrispettivo "teorico" pattuito tra le parti originariamente e il prezzo effettivamente versato, tramite la rettifica della base imponibile operata dal fornitore e della detrazione da parte del cliente, in quanto "rappresentano le due facce di una stessa operazione economica e dovrebbero essere interpretati in modo coerente", nulla rilevando lo status di soggetto passivo IVA.

Parimenti, la condizione per cui il debitore non dovrebbe essere sottoposto a una procedura di insolvenza o liquidazione, al fine di poter operare la rettifica in oggetto, non appare conforme al principio di proporzionalità e rischia di compromettere l'obiettivo di armonizzazione dell'IVA perseguito dalla Direttiva. L'incertezza connessa alla definitività del mancato pagamento potrebbe essere riscontrata allorché il creditore segnali, prima dell'esito della procedura di insolvenza, l'esistenza di una probabilità ragionevole che il credito non sarà saldato.

Come osservato dalla Corte di Giustizia in una precedente pronuncia (cfr. causa C-246/16 del 23 novembre 2017), un simile modus procedendi sarebbe ugualmente efficace per conseguire l'obiettivo previsto dalla Direttiva e, al contempo, meno gravoso per il creditore, il quale riscuote l'IVA in via anticipata per conto dello Stato, considerato che la definitiva irrecuperabilità del credito può essere acquisita solo al termine di un lungo periodo, comportando dunque per le parti coinvolte uno svantaggio, in termini di liquidità, rispetto ai loro concorrenti di altri Stati membri.

Con tale pronuncia appare ancor più evidente la anomalia della normativa italiana e soprattutto delle interpretazioni di prassi che condizionano la possibilità per il fornitore di rettificare l'imposta in caso di mancato incasso solo in presenza di procedure concorsuali che siano giunte al termine.

* di Pirola Pennuto Zei & Associati

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