Il bilanciamento tra tutela della concorrenza e libertà d'impresa al vaglio di costituzionalità
Nota a Corte Costituzionale, Sentenza 23 novembre 2021, n. 218 - Questione di legittimità costituzionale: artt. 1, c. 1°, lett. iii), della legge 28/01/2016, n. 11, e art. 177, c. 1°, del decreto legislativo 18/04/2016, n. 50. - Illegittimità costituzionale - Ill. cost. conseg. ex art. 27 legge n. 87/1953
La Corte Costituzionale con sentenza n. 218 del 23 novembre 2021 , è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi sulla rispondenza ai principi costituzionali del Codice dei contratti pubblici e in particolare sulla legittimità costituzionale degli articoli 177 c. 1,2,3 del D.Lgs. 50/16 e dell'art. 1, c. 1, lett. iii) della L.11/2016, a seguito della sentenza non definitiva n. 166 del 19 agosto 2020 del Consiglio di Stato, con cui i giudici hanno sollevato questione di legittimità costituzionale relativamente agli articoli 3 c.1, 41 c.1 e 97 c.2 della Costituzione.
La vicenda trae origine dal ricorso proposto da A. contro ANAC, che aveva condotto il TAR Lazio con sent. 15 luglio 2019 n. 9309 a dichiarare l'inammissibilità del ricorso presentato contro la delibera ANAC n. 614/18 (Linee guida n.11, "Indicazioni per la verifica del rispetto del limite di cui all'art. 177 c.1 del D.Lgs. 50/2016") e i motivi aggiunti contro l'Atto di segnalazione dell'ANAC n. 4/18 (concernente la verifica degli affidamenti dei concessionari ai sensi dell'art. 177 D.Lgs. n.50/2016). La sentenza impugnata da A. davanti al C.d.S., ha però superato le censure d'inammissibilità e ha condotto il giudice d'appello a sollevare questione di legittimità costituzionale relativamente agli articoli 177 c. 1, 2, 3 del D.Lgs. n.50/2016 e dell'art. 1 c.1, lett. iii) della Legge delega 11/2006 per l'irragionevole e sproporzionato obbligo di esternalizzazione gravante sui concessionari.
In particolare, le norme censurate obbligavano i titolari delle concessioni già in essere (prima del D.Lgs. 50/2016), non assegnate con la formula della finanza di progetto o con procedure ad evidenza pubblica, a esternalizzare, mediante affidamenti a terzi con procedura ad evidenza pubblica, l'80 per cento dei contratti di lavoro, servizi e forniture, relativi alle concessioni di importi pari o superiore a 150.000 euro, nonché a realizzare la restante parte di tali attività tramite società in house o società controllate o collegate ovvero operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.
La ratio di una tale previsione che comportava la dismissione totalitaria di lavori, servizi e forniture relativi ad una concessione affidata senza gara, cui si ricollegava l'impossibilità per il concessionario di eseguire direttamente le prestazioni oggetto della concessione, era da individuare nell'esigenza di tutela della concorrenza, volta ad ovviare all'omesso confronto competitivo, attraverso la "necessità di imporre regole concorrenziali, seppur a valle, quando sono mancate le gare a monte"( CdS, sez.I, parere n. 823/2020 ).
Il C.d.S. ha pertanto osservato come fosse "non implausibile" la proposizione della questione di legittimità costituzionale, alla luce dell'obbligo generalizzato e indifferenziato di esternalizzazione imposto ai concessionari, comportando la disciplina vigente "uno stravolgimento degli equilibri economico-finanziari sottesi allo stesso rapporto concessorio in questione, su cui si fondano le scelte di pianificazione ed operative del concessionario/imprenditore".
La Consulta ha cosi operato un bilanciamento tra tutela della concorrenza e libertà d'iniziativa economica alla luce degli articoli 3,41 e 97 Cost. In particolare la Corte Cost. ha precisato limitatamente all'art. 41 Cost., come "il legislatore può intervenire a limitare e conformare la libertà d'impresa in funzione di tutela della concorrenza, nello specifico ponendo rimedio ex post al vulnus conseguente a passati affidamenti diretti avvenuti al di fuori delle regole del mercato" purché "il perseguimento di tale finalità incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti", non potendosi condividere pur nel perseguimento del "doveroso obiettivo di piena realizzazione dei principi della concorrenza", interventi che determinino un radicale svuotamento delle facoltà dell'imprenditore in una misura irragionevole e sproporzionata.
Per la Corte l'irragionevolezza dell'obbligo previsto dalle norme censurate "si collega innanzitutto alle dimensioni del suo oggetto", in quanto "la parte più grande delle attività concesse deve essere appaltata a terzi e la modesta percentuale restante non può comunque essere compiuta direttamente,(…)tramutando l'imprenditore in una stazione appaltante"; ma anche nell'assenza di una "differenziazione o graduazione in ragione di elementi rilevanti, per l'apprezzamento dello stesso interesse della concorrenza, quali fra gli altri le dimensioni della concessione - apparendo a tale fine di scarso rilievo la prevista soglia di applicazione alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro, normalmente superata dalla quasi totalità delle concessioni -, le dimensioni e i caratteri del soggetto concessionario, l'epoca di assegnazione della concessione, la sua durata, il suo oggetto e il suo valore economico."
La Consulta ha inoltre fondato il proprio convincimento sulla base della lesione del legittimo affidamento, principio di matrice europea cristallizzato nella storica sentenza della C.G.U.E., causa 112/77 Topfer/Commissione, avendo i concessionari esercitato "un'attività d'impresa per la quale hanno sostenuto investimenti e fatto programmi, riponendo un relativo affidamento nella stabilità del rapporto instaurato con il concedente" poi mutato. Per siffatte ragioni, "l'introduzione di un obbligo radicale e generalizzato di esternalizzazione, come quello disposto nella normativa censurata, non supera nemmeno - nello scrutinio del bilanciamento operato fra diritti di pari rilievo - la doverosa verifica di proporzionalità".
Per la Corte, infatti, l'adozione di un obbligo generalizzato di esternalizzazione, per quanto pro concorrenziale, "non può certo definirsi il mezzo più mite fra quelli idonei a raggiungere lo scopo" dovendo il Legislatore "scegliere, fra i vari strumenti a disposizione, quello che determina il sacrificio minore".
Proprio la struttura trifasica del principio di proporzionalità: idoneità, necessarietà e adeguatezza, permette infatti di cogliere a pieno la pronuncia d'illegittimità costituzionale. Se per idoneità si intende il rapporto tra il mezzo adoperato e l'obiettivo avuto di mira; per adeguatezza la tollerabilità della restrizione gravante per il privato; e per necessarietà la conformità alla regola romagnosiana del "mezzo più mite", si comprende come il Legislatore tra le diverse soluzioni tutte astrattamente "idonee" non abbia scelto quella che consentisse il raggiungimento dell'obiettivo mediante il minimo sacrificio possibile degli interessi coesistenti e confliggenti nel caso concreto, bensì quella maggiormente gravosa per i concessionari. Cosicché la Consulta ha censurato la legittimità degli articoli impugnati optando in una logica di bilanciamento per riconoscere una maggiore tutela, nella fattispecie, alla libertà d'impresa, ritenendo illegittimo l'obbligo di esternalizzare i contratti.
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A cura dell' Avv. Michele Cimino, Studio Legale Cimino & Partners - Partner 24 ORE Avvocati