Penale

Il concorso del consulente del reato

Nota a sentenza , Corte di Cassazione, Sezione 3, Penale del 17 febbraio 2021, n. 6164

di Mattia Miglio e Paolo Comuzzi*


Con la sentenza qui in esame, la Suprema Corte fornisce importanti spunti di riflessione sul concorso del consulente nella commissione dei reati di carattere tributario commessi dal cliente.


Nel caso di specie, "all'imputato si contesta di avere concorso, nella sua veste di avvocato civilista e consulente legale della famiglia omissis, unitamente al rag. omissis, consulente contabile, alle distrazioni e al compimento delle operazioni dolose che hanno portato al depauperamento e al fallimento della "omissis", della "omissis", della "omissis", e di essere stato altresì ideatore di atti fraudolenti volti a rendere inefficace l'attività di riscossione coattiva del Fisco rispetto a una pluralità di debiti erariali delle società riconducibili alla famiglia omissis, avvenendo ciò mediante complesse operazioni commerciali di trasformazione societaria, il cambio di sede legale e la nomina, quali meri prestanomi, di nuovi amministratori o liquidatori della società".

Ciò premesso, la Corte di Cassazione afferma in prima battuta che "oggettive criticità rivela [...] l'apparato argomentativo dell'ordinanza impugnata con riferimento al concorso dell'indagato nel reato ex art. 11 del d. Igs. n. 74 del 2000, contestato ai capi omissis, non potendosi sottacere che, in tal caso, la motivazione del provvedimento del G.I.P. prima e del Tribunale poi risente evidentemente della "vaghezza" delle contestazioni provvisorie, nelle quali la condotta non è descritta compiutamente rispetto a un elemento essenziale della fattispecie, ovvero la tipologia degli atti fraudolenti idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva avviata dal Fisco …".

Proseguendo, si legge poi che "nelle imputazioni, infatti, si parla genericamente di "una serie di atti fraudolenti finalizzati a rendere inefficace l'attività di riscossione coattiva conseguente alla verifica fiscale della Guardia di Finanza conclusasi il omissis", ma tale dizione non consente di comprendere né quali siano in concreto questi atti, né, di conseguenza, in cosa si sarebbe manifestato il contributo del ricorrente"; ragion per cui gli elementi a fondamento del concorso del consulente nei reati del cliente devono essere idonei a provare il contributo dato dal professionista alla commissione dei fatti stessi.

Di conseguenza, la Suprema Corte afferma che - pur avendo anche l'imputato il ruolo di "consulente legale e di gestore di fatto delle aziende sotto il versante operativo" - "tale ruolo non può essere ritenuto sufficiente per addebitare all'indagato la realizzazione delle attività funzionali alla sottrazione fraudolenta di beni al pagamento delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, dovendosi in tal caso specificare in che misura il ricorrente abbia contribuito a tali condotte fraudolente, di cui appare necessario specificare l'epoca, la tipologia e la destinazione illecita".

In buona sostanza, la mera qualifica professionale dell'imputato non costituisce condizione necessaria per imputare a quest'ultimo comportamenti illeciti; in questo senso, non è corretto "ricondurre all'avv. …, solo perché avvocato civilista, tutte le eventuali operazioni negoziali suscettibili di incidere sull'astratta possibilità di riscossione coattiva del Fisco [...] Nel provvedimento impugnato, invero, si richiamano genericamente talune attività negoziali [...] senza un adeguato riferimento al ruolo assunto dal ricorrente rispetto alla stipulazione degli atti asseritamente simulati o fraudolenti. Di qui la necessità di circoscrivere in sede di merito non solo le singole operazioni volte a eludere la riscossione coattiva, ma anche il contributo fornito rispetto ad esse dall'indagato".

Sempre secondo la Corte, le considerazioni appena esposte si riflettono altresì sulla corretta e puntuale formulazione dei fatti oggetto di imputazione: "Le considerazioni appena formulate rispetto alla carenza motivazionale relativa alla configurabilità a carico del ricorrente della fattispecie di cui all'art. 11 del d. Igs. n. 74 del 2000 sono destinate inevitabilmente a riverberarsi anche sull'individuazione dei beni sottoposti a sequestro preventivo per equivalente, ripercuotendosi l'incertezza sugli atti fraudolenti anche sulla determinazione del profitto del reato, essendo quest'ultimo rappresentato, come ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, peraltro correttamente richiamata nell'ordinanza impugnata (cfr. Sez. 5, n. 32018 del 14/03/2019, Rv. 277251), non dal debito tributario rimasto inadempiuto, ma dal valore dei beni sottratti fraudolentemente sottratti alla garanzia dei crediti dell'Amministrazione finanziaria per le imposte evase, valore che invero nel caso di specie non è stato adeguatamente precisato".

In conclusione, la sentenza in oggetto afferma che il consulente può - in linea ovviamente astratta - concorrere nei fatti illeciti (fraudolenti) commessi dal cliente; tale concorso tuttavia non può fondarsi esclusivamente sulla scorta del ruolo e della capacità professionale del consulente ma deve poggiare su un quadro preciso e puntuale di questi atti fraudolenti e su elementi fattuali idonei a fornire piena prova della partecipazione del consulente negli specifici atti tesi a sottrarre i beni alla esecuzione dell'Amministrazione Finanziaria.

*a cura degli avv.ti Mattia Miglio e Paolo Comuzzi

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