Civile

Il contenuto del definitivo supera i patti preliminari

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di Antonino Porracciolo

Il contenuto del contratto definitivo supera i patti del preliminare; di conseguenza, i sottoscrittori di quest’ultimo non possono agire in giudizio per ottenere l’adempimento di obblighi che, sebbene già previsti nel primo accordo, non siano stati poi richiamati nel successivo negozio giuridico. Lo ricorda il Tribunale di Roma (presidente Di Salvo, relatore Romano) nella sentenza 35549 pubblicata lo scorso 8 ottobre.

I fatti risalgono al 2006, quando l’attore, allora promittente venditore, si impegnava a cedere alla convenuta tutte le proprie quote di partecipazione a una Srl. Il prezzo della compravendita era stabilito in 85.500 euro. L’accordo prevedeva che l’importo sarebbe stato versato in rate da 500 euro mensili; ma poiché nel gennaio 2015 la promissaria acquirente aveva interrotto i versamenti, il promittente ha quindi chiesto la condanna della controparte al pagamento di 33.500 euro, pari alla somma di cui si affermava ancora creditore.

Dal canto suo, la convenuta ha dedotto che, lo stesso giorno in cui era stato raggiunto l’accordo preliminare, le parti avevano sottoscritto una scrittura privata con firme autenticate da un notaio; con questo secondo accordo l’attore cedeva le proprie quote della Srl sia alla convenuta sia a una terza persona per un importo inferiore a quello precedentemente stabilito, dichiarando di aver già ricevuto il pagamento del prezzo e quindi di non aver più nulla da pretendere.

Nel decidere la lite, il tribunale ricorda che, qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano poi il definitivo, «quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo»; ciò perché il negozio preliminare determina solo l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, sicché la disciplina del secondo accordo «può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva».

Inoltre - prosegue il tribunale, richiamando la sentenza 1677/2015 della Cassazione -, nel silenzio del contratto definitivo, la presunzione di conformità del nuovo negozio alla volontà delle parti può «essere vinta soltanto dalla prova (che, peraltro, deve risultare da atto scritto ove il contratto abbia a oggetto beni immobili) di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni», previsti nel preliminare, sopravvivono; ed è ovvio che tale prova deve esser data «da chi chieda l’adempimento di detto distinto accordo».

Nel caso in esame, il secondo contratto conteneva la quietanza di pagamento del prezzo della cessione delle quote, e peraltro era stato firmato anche da una terza persona quale acquirente di una parte delle quote. Circostanze, queste, che dimostrano che il contratto definitivo costituiva ormai «l’unica fonte dei diritti e degli obblighi delle parti».

Così il tribunale ha respinto la domanda dell’attore, che ha condannato al pagamento delle spese di lite.

Tribunale di Roma - Sentenza 8 ottobre 2019

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