Giustizia

Il Csm approva la concentrazione delle prove nella prima udienza

Al voto del plenum il parere del Consiglio sulla riforma Cartabia

immagine non disponibile

di Giovanni Negri

In un approccio complessivamente scettico il Csm tuttavia dà via libera alla parte forse più contestata della riforma del processo civile. E lo fa con un parere che oggi sarà sottoposto al voto del plenum. Dove lo scetticismo riguarda , in termini generali, l’obiettivo di arrivare a una drastica riduzione dei tempi di durata dei giudizi, il 40%, attraverso un intervento in larga parte concentrato sulle regole processuali.

In questo senso a venire valorizzata è la durata sostanzialmente identica del processo celebrato con rito ordinario in primo grado (1.270 giorni) e in appello (1.296 giorni). «Pertanto, pur richiedendo, astrattamente, il processo di appello tempi tecnici di pochi mesi per essere celebrato, permane uno scarto di circa mille giorni tra i tempi processuali “minimi” per celebrare l’appello e quelli medi effettivi; inoltre, questi ultimi sono sostanzialmente identici a quella del giudizio di primo grado». La ragione di questa condizione, evidentemente, è da collegare non tanto al tipo di rito, quanto piuttosto alla difficoltà di smaltimento delle sopravvenienze e dell’arretrato a causa della inadeguatezza delle risorse disponibili.

Nel dettaglio, la bozza di parere sottolinea come la previsione di maggiore impatto è, certamente, l’anticipazione di tutte le difese agli atti introduttivi nel rito ordinario, presidiata da rigorosi termini di decadenza negli atti introduttivi. Il nuovo modello processuale prevede, infatti, preclusioni rigide simili a quelle previste per il rito del lavoro, ma destinate a trovare applicazione per i procedimenti ordinari di qualsiasi tipologia e numero di parti e necessariamente di maggiore complessità, dal momento che le cause documentali o con prove non complesse, devono essere trattate con il rito semplificato.

Un irrigidimento che, a giudizio dell’avvocatura, da venerdì a congresso a Roma in buona parte su questi temi, renderebbe lo svolgimento dell’attività difensiva eccessivamente faticosa, rischiando di appesantire gli accertamenti processuali rispetto alla decisione sulle questioni sostanziali.

Per il Csm, tuttavia «lo scopo, che sta a base della proposta, di definire da subito, compiutamente, già nell’udienza di prima comparizione, l’oggetto esatto della controversia e la portata dei mezzi di prova delinea un meccanismo processuale che ha dato buona prova di sè nell’ambito in cui, fin qui, è stato utilizzato». Inoltre «che la sua generalizzazione possa essere fonte, addirittura, di rallentamenti processuali - come pure si è paventato in talune posizioni critiche, a causa di un possibile “appesantimento” del fascicolo (per sovrabbondanza di elementi, anche probatori, introdotti dalle parti per scongiurare il rischio della successiva preclusione) - appare affermazione priva di solidi riscontri». Se è comunque garantita, quando strettamente necessario (e cioè, nei casi di assoluta impossibilità di articolazione o produzione dell’argomento di discussione o del materiale probatorio nel termine originariamente stabilito), la possibilità di una rimessione in termini, la concentrazione delle attività di udienza in termini più rigorosi «appare soluzione da approvare in linea di principio».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©