Penale

Il diritto di critica politica sulle scelte sessuali tollera l'opinione ma non l'hate speech

Assume particolare rilevanza "il modo" in cui la comunicazione è effettuata, il linguaggio usato nell'espressione aggressiva, il contesto in cui è inserita

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di Pietro Alessio Palumbo

Se certo è qualificabile come "politica" l'esternazione di una specifica opzione ideologica sul tema delle unioni tra persone dello stesso sesso, manifestando, in chiave critica, un motivato dissenso, non può invece attrarsi nello spettro del legittimo esercizio della "critica politica" l'invettiva rivolta ad individui o aggregazioni determinate, selezionate esclusivamente per l'orientamento sessuale.

L'aggressione della sfera morale altrui
Ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n.25759/2022 che l'estensione del diritto di critica politica tollera la polemica intensa e dichiarata su temi di rilevanza sociale, senza tuttavia che possa trascendere in attacchi personali, finalizzati all'unico scopo di aggredire la sfera morale altrui, e da determinare una "distorsione" rispetto all'intento informativo dell'opinione pubblica che è alla base del riconoscimento dell'esimente.

La tesi dell'accusa e le decisioni in prime e seconde cure
Secondo la tesi d'accusa nella vicenda in diverse circostanze l'imputato aveva diffuso notizie non corrispondenti al vero, sull'attività di informazione e prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili svolta da una associazione operante contro le discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale e l'identità di genere, attribuendo natura pornografica ai materiali messi a disposizione dei partecipanti ad alcune assemblee studentesche; e formulando, altresì, gravi insinuazioni sulle iniziative di accoglienza promosse dalla medesima associazione. In primo grado il Tribunale aveva affermato la responsabilità penale dell'imputato, in considerazione del tenore obiettivamente diffamatorio delle dichiarazioni nelle diverse sedi rese, connotate da falsità e mistificazione dei fatti rappresentati, e tali da non essere scriminate dall'esercizio del diritto di cronaca e di critica, anche sotto forma di critica politica. In seconde cure la Corte d'Appello aveva, invece, ricondotto i fatti nell'alveo del legittimo esercizio del diritto di critica politica, collocando gli episodi nel tema dei dibattiti in corso.

Critica politica, interesse sociale, continenza del linguaggio, verità dei fatti
La Suprema Corte ha ricordato che in tema di esimenti del diritto di critica e di cronaca, è necessario il bilanciamento dei beni in conflitto, individuati nell'interesse sociale all'informazione, nella continenza del linguaggio e nella verità del fatto narrato. In questa prospettiva è stato evocato anche il parametro dell'attualità della notizia, nel senso che una delle ragioni fondanti dell'esclusione della antigiuridicità della condotta lesiva dell'altrui reputazione deve essere ravvisata nell'interesse generale alla conoscenza del fatto nel momento storico; e dunque nell'attitudine dell'informazione a contribuire alla formazione della pubblica opinione in modo che il cittadino possa liberamente orientare le proprie scelte nel campo della formazione sociale, culturale e scientifica.

La natura congetturale della critica
Con specifico riferimento al diritto di critica, il rispetto del principio di verità si declina peculiarmente, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale e non può pretendersi strettamente obiettiva ed asettica. Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero che si specifichi nell'esercizio del diritto di critica deve essere controbilanciato con i precetti costituzionali fondamentali. In questo senso, anche l'errore sulla veridicità dei fatti o sulla correttezza dei giudizi oggetto della condotta incriminata non esclude il dolo richiesto dalla normativa perché non ricade sugli elementi costitutivi della fattispecie; potendo il reato essere consumato anche divulgando la verità; ed essendo sufficiente, ai fini della configurabilità dell'elemento soggettivo, la consapevolezza di formulare giudizi oggettivamente lesivi della reputazione della persona offesa.

Diritto di opinione SI; istigazione all'odio NO
L'argomento va dunque osservato in una duplice prospettiva, distinguendo tra dichiarazioni relative a fatti e dichiarazioni che contengono un giudizio di valore. Anche in quest'ultimo è sempre contenuto un nucleo fattuale che deve essere sia veritiero che oggettivamente sufficiente per permettere di trarvi il giudizio. In tal senso ci si richiama al diritto di critica politica, etica o di costume e, in generale, a quel diritto strettamente contiguo, sempre correlato con il diritto alla libera espressione del pensiero, che appunto è il "diritto di opinione" che mai però può sconfinare nella istigazione all'odio. La libertà d'espressione non può essere considerata senza limiti, anche se esercitata da membri di organizzazioni o partiti.

Hate speech e indicatori dell'incitamento alla discriminazione
In tema di cosiddetto "hate speech" l'istigazione all'odio non richiede necessariamente il riferimento ad atti di violenza o delitti. Ciò in quanto i giudizi relativi alle persone, ingiuriando, ridicolizzando diffamando talune frange della popolazione o isolando e discriminando gruppi specifici o deboli sono sufficienti perché le autorità perseguano un discorso diffamatorio. Ciò a fronte di una libertà di espressione evidentemente esercitata irresponsabilmente provocando offesa alla dignità (e alla sicurezza) altrui. Ecco che l'identificazione in concreto dell'incitamento alla discriminazione, passa attraverso il riscontro di diversi indicatori, tra i quali assume particolare rilevanza "il modo" in cui la comunicazione è effettuata, il linguaggio usato nell'espressione aggressiva, il contesto in cui è inserita, il numero delle persone cui è rivolta l'informazione, la posizione e la qualità ricoperta dall'autore della dichiarazione nonché la posizione di vulnerabilità o meno del destinatario della stessa.

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