Lavoro

Il giudice accerta se l'illecito disciplinare rientra nella lieve negligenza definita in modo generico dal Ccnl

Scatta la reintegra se in giudizio è appurato che i fatti appartengono alle ipotesi in cui è prevista solo la sanzione conservativa

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di Paola Rossi

Va reintegrata e non soltanto risarcita la guardia giurata licenziata per aver commesso una negligenza lieve che, in base al contratto collettivo nazionale delle imprese di sicurezza privata, può essere sanzionata esclusivamente con misure sanzionatorie "conservative".

Il giudice è però chiamato, come dice la sentenza n. 11665/2022 della Cassazione, ad accertare se il fatto concreto contestato rientri o meno nelle ipotesi di lieve negligenza. Perché proprio nel caso in cui sia definito dalle norme collettive un perimetro entro cui il licenziamento disciplinare è espressamente escluso dal potere sanzionatorio del datore l'accertamento del giudice comporta non solo l'illegittimità della risoluzione del rapporto, ma anche la reintegrazione del lavoratore in azienda.

La mancata tipizzazione e descrizione da parte dei contratti o accordi collettivi della condotta che viene però indicata come lieve e sanzionabile solo con misura disciplinare conservativa impone che sia il giudice ad accertarla dal punto di vista fattuale e a sussumerla, se del caso, nell'ipotesi di minore gravità. Per cui, se il giudice accerta che i fatti sono di minore gravità e il datore di lavoro ha, invece, comminato il licenziamento e vuole opporsi alla reintegra , a quest'ultimo non resta che provare che il fatto non rientra nell'ipotesi lieve che impone solo sanzioni conservative del posto di lavoro.

Presupposto di tale tutela "forte" prevista dallo Statuto dei lavoratori è che il licenziamento sia stato adottato in spregio agli accordi raggiunti dalle parti in sede di contrattazione o di codificazione delle regole disciplinari e cioè quando è espressamente esclusa la sanzione non conservativa del posto di lavoro per i comportamenti di cui è stato incolpato il dipendente. E quando i contratti o gli accordi utilizzano - nel definire le condotte sanzionabili solo con misure conservative - norme generali o di apertura o di chiusura, comunque a carattere non definito e non puntuale, spetta all'interpretazione del giudice definirne il contenuto ai fini della loro applicazione al caso concreto.

La Cassazione fa rilevare che in un caso come quello affrontato il giudice ha un compito che si svolge in due fasi: 1) il giudizio di gravità o meno della condotta interpretando la norma collettiva e 2) l'applicabilità di sanzioni conservative o meno in base alle norme di settore o aziendali. Ovviamente quando la norma definisca in via generale la condotta del lavoratore lascia spazio alla sua interpretazione da parte del giudice.

Il discrimine che può, in caso di illegittimità della sanzione massima del licenziamento, condurre alla reintegra e non solo all'indennizzo sta nel fatto che sia stata adottata o meno una norma sindacale espressa che ammette solo misure conservative contro fatti di lieve negligenza. Infatti, in caso manchi tale espressa previsione nelle norme collettive, l'eventuale licenziamento che risulti privo di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo non comporta l'applicazione della tutela forte prevista dal quarto comma dell'articolo 18 dello Statuto, ma l'applicazione del quinto comma con la possibilità di indennizzo fino alla misura massima di 24 mensilità.

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