Il giudice deve riconoscere anche il Tfr al lavoratore se accerta l'abuso della Pa di contratti a termine
Il divieto di conversione in rapporto a tempo indeterminato con la Pa non può escludere il diritto chee si fonda sulla subordinazione
La successione di contratti di collaborazione coordinata e continuativa che instaurano però un rapporto di lavoro fondato sulla "subordinazione" determina il diritto del lavoratore, impiegato abusivamente a tempo determinato dalla pubblica amministrazione, a vedersi riconoscere dal giudice non solo l'indennizzo a titolo di risarcimento, ma anche il trattamento di fine rapporto che scatta al termine dei rapporti di lavoro subordinato. Il giudice, inoltre, provvederà all'adeguamento della posizione previdenziale e assistenziale del lavoratore risarcito.
L'Inps sosteneva, invece, che il Tfr non fosse dovuto in caso di ricorso abusivo alla stipula di contratti a termine in quanto nel pubblico impiego il rapporto di lavoro illegalmente instaurato non determina mai la conversione in quello a tempo indeterminato. Per cui secondo l'ente previdenziale tale divieto impedirebbe di far maturare al lavoratore impiegato consecutivamente tramite Co.co.co. il diritto al Tfr che origina appunto dalla cessazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
La Corte di cassazione civile - con la sentenza n. 4360/2023 - ha respinto perciò il ricorso con cui l'Inps voleva vedere negato il trattamento di fine rapporto riconosciuto in appello al lavoratore dai giudici di merito. Infatti, è la subordinazione il fondamento degli accantonamenti di somme a titolo di Tfr. E su tale punto rileva anche la subordinazione di fatto nell'ambito dei rapporti di lavoro con la Pa seppure - a differenza del settore privato - non consente di convertire il contratto di lavoro per espresso divieto di legge. E non dare alcun rilievo al dato della subordinazione, in caso di abusi accertati che non prevedono la via della "regolarizzazione" del rapporto con la Pa, sarebbe assolutamente lesivo del principio di uguaglianza in rapporto ai lavoratori del settore privato.
Dunque, dice la Cassazione, non è possibile in un caso di accertato abuso dei contratti a termine escludere il Tfr quale conseguenza economica della subordinazione "effettiva" al datore di lavoro pubblico per il solo fatto che il testo unico del pubblico impiego vieta la conversione del rapporto lavorativo da tempo determinato a tempo indeterminato.
Infatti, il diritto al Tfr nasce per il solo fatto che il datore di lavoro pubblico ha remunerato la prestazione professionale "resa in forma di fatto subordinata" in base al valore e all'apporto della stessa e determinando un aumento del patrimonio del lavoratore.
Tant'è vero che la norma civilisitica che prevede il diritto al trattamento di fine rapporto alla conclusione del contratto di lavoro regola l'entità di tale compenso "posticipato" in base alla reale retribuzione percepita dal dipendente. Retribuzione che comprende tutti gli emolumenti - anche non stabili - ricevuti dal lavoratore per remunerare il valore professionale della prestazione resa.