Lavoro

Il licenziamento durante la pandemia è nullo per violazione di norma imperativa

Il Tribunale di Venezia nella sentenza n. 158, depositata il 3 marzo 2021 ritorna sulla estinzione del rapporto di lavoro in tempo di Covid

di Andrea Alberto Moramarco

Il licenziamento intimato durante la pandemia, sotto cioè la vigenza del “blocco dei licenziamenti” disposto e più volte prorogato dal Governo, è nullo per violazione di norma imperativa, la quale pone un divieto a tutela di interessi sociali fondamentali. A meno che il datore di lavoro dimostri di rientrare nelle categorie di datori di lavoro a cui la normativa consente il licenziamento. A dirlo è il Tribunale di Venezia nella sentenza n. 158, depositata il 3 marzo 2021.

Il caso

La decisione prende le mosse dal ricorso di una lavoratrice, avente la qualifica di 4° livello CCNL Studi Professionali, avverso il licenziamento intimatole dal datore di lavoro il 31 luglio 2020, con decorrenza dal 20 agosto, a causa della “cessazione definitiva di ogni attività relativa alla prestazione di servizi”. Il giudice, in contumacia del datore di lavoro e senza il bisogno di alcun approfondimento istruttorio, ha ritenuto il ricorso fondato e ordinato così la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno subito e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Per il Tribunale, infatti, il recesso del datore di lavoro deve ritenersi nullo per violazione della normativa emergenziale. Ebbene, ricorda il giudice, il divieto di licenziamento, dapprima introdotto con l’articolo 46 del Dl Cura Italia, è stato confermato ed esteso con l’articolo 80 del Dl Rilancio e con l’articolo 14 del Dl Agosto. Quest’ultimo, in particolare, aveva circoscritto poi il divieto ai datori di lavoro che non avevano beneficiato dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza da Covid-19. (Il blocco dei licenziamenti è stato poi ulteriormente prorogato, prima dal Dl Ristori, poi dalla legge di Bilancio 2021 e, da ultimo, dal Dl Sostegni, che ne ha fissato il termine al 30 giugno 2021).

Il caso di specie si colloca sotto la finestra temporale coperta dal Dl Agosto e, secondo il giudice, possono porsi dei dubbi circa l’interpretazione della circoscrizione della portata del divieto alla mancata fruizione dei trattamenti speciali di integrazione salariale. Ad ogni modo, il datore di lavoro avrebbe al più potuto dimostrare di «rientrare nelle categorie di datori di lavoro a cui la normativa emergenziale parrebbe aver consentito il licenziamento».

Ciò però non è avvenuto. Di conseguenza si è palesata la violazione da parte del datore di lavoro della normativa emergenziale, la quale deve essere ritenuta norma imperativa che, ponendo «un divieto a tutela di fondamentali interessi sociali, non può che comportare la nullità del licenziamento in forza dell’art. 1324 cc, a mente del quale le norme dettate in materia di contratti si osservano anche per gli atti unilaterali, quali per l’appunto l’atto di recesso datoriale». In tal caso, pertanto, il rimedio è quello di all’articolo 2 comma 1 del D.lgs. n. 23/2015 (Jobs Act), che «prevede la massima sanzione (reintegra e risarcimento) in relazione, tra le altre ipotesi, ai casi di “nullità espressamente previsti dalla legge".

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