Il nuovo abuso d’ufficio non limita il dovere di astensione dei funzionari
La riforma depotenzia il reato solo quando deriva dalla violazione di norme. Resta l’obbligo di non agire in presenza di un interesse proprio o di un congiunto
Meno controllo penale sull’esercizio della discrezionalità da parte dei pubblici amministratori dopo il decreto legge Semplificazioni (76/2020) ma nessuna conseguenza se l’abuso d’ufficio è commesso con la mancata astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto. Questo emerge dalla sentenza della Cassazione 32174 del 17 novembre 2020, la prima a verificare se la modifica dell’articolo 323 del Codice penale, operata dall’articolo 23 del decreto legge 76/2020 potesse far venire meno la punibilità di condotte oggetto di processi in corso.
Le condotte
L’abuso d’ufficio era stato riscritto dalla legge 234 del 1997, che aveva previsto due diversi comportamenti illeciti e li aveva sottoposti alla stessa sanzione: il primo era integrato dalla «violazione di norme di legge o di regolamento», il secondo si realizzava «omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunti o negli altri casi prescritti».
Le due condotte erano tipizzate come alternative; bastava cioè che se ne realizzasse una delle due perché potesse dirsi integrato il reato.
Il decreto legge 76 del 2020 è intervenuto solo sulla prima di esse, sostituendo l’elemento di fattispecie con la «violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». La Cassazione ha sottolineato che la modifica è di «grande impatto», perché ha notevolmente ristretto l’ambito di rilevanza penale dell’abuso d’ufficio con effetti di favore applicabili retroattivamente; non saranno più punibili né la violazione dei regolamenti né la violazione di leggi che non abbiano un contenuto percettivo specifico e vincolante, tali da non lasciare alcuna discrezionalità amministrativa.
Tuttavia l’ambito del secondo segmento di condotta tipizzato nell’articolo 323 del Codice penale rimane intatto. E per questo la modifica non ha prodotto effetto nel caso esaminato dalla sentenza della Cassazione, dove si contestava a un sindaco di avere assunto la presidenza della seduta del consiglio comunale e di averlo sospeso per poi sciogliere la seduta, impedendo ai consiglieri di votare una mozione per la costituzione di parte civile dell’ente nel processo pendente a carico dello stesso sindaco, imputato di vari reati in danno di dipendenti del Comune.
Costui avrebbe dovuto astenersi perché si era in presenza di un interesse proprio e poco contava quanto prevedevano i regolamenti degli organi.
I precedenti
Da tempo i giudici di legittimità avevano sottolineato che l’articolo 323 del Codice penale aveva introdotto nell’ordinamento, in via diretta e generale, un dovere di astensione per i pubblici agenti che si trovino in una situazione di conflitto di interessi, con la conseguenza che l’inosservanza del dovere di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto integra il reato anche se manchi, per il procedimento in cui l’agente è chiamato a operare, una specifica disciplina dell’astensione, o ve ne sia una che riguardi un numero più ridotto di ipotesi o che sia priva di carattere cogente (Cassazione 1457/2013 con riguardo a un amministratore locale che aveva approvato una variante al piano regolatore generale favorevole ai clienti del suo studio professionale).
E il ricorso a un’ulteriore fonte normativa era semmai necessario solo in casi diversi da quelli in cui non ricorresse già un interesse proprio o di un prossimo congiunto («gli altri casi prescritti»).
Così ad esempio si ravvisò l’abuso d’ufficio nella condotta del magistrato che aveva preso parte a un giudizio penale che aveva ricadute sugli interessi economici di un’azienda di cui era titolare la madre e ciò anche se non ricorreva un’ipotesi di obbligo di astensione previsto dall’articolo 52 del Codice di procedura penale (Cassazione 7992/2005).
Non lo si ravvisò invece per il direttore di un ente che aveva partecipato a una commissione di concorso che aveva promosso soggetti che nei suoi uffici avevano lavorato, perché non sussistevano interessi propri o di congiunti e l’obbligo di astensione non era prescritto (Cassazione 25525/2008). A soluzione diversa ovviamente si è giunti quando candidata era una figlia del componente la commissione (Cassazione 33029/2018).
In ogni caso però anche in caso di violazione dell’obbligo di astensione il reato è integrato se il vantaggio o il pregiudizio arrecato dall’atto sia ingiusto. Per questo è stato escluso l’abuso d’ufficio nei confronti di un sindaco che aveva preso parte alla delibera di giunta di riconoscimento di un debito fuori bilancio in favore di un’impresa, dalla quale era stato convenuto in giudizio per il soddisfacimento di un credito derivante dall’effettiva esecuzione di lavori pubblici, risultati utili per il comune (Cassazione 12075/2020).
Come si articola il reato
La violazione di norme
Prima della riforma
Il decreto legge Semplificazioni (76/2020) ha modificato i confini del reato di abuso di ufficio riscrivendo la prima delle condotte indicate dall’articolo 323 del Codice penale.
Infatti nel testo precedente, modificato dalla legge 234/1997, il reato sanzionava il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto «in violazione di norme di legge o di regolamento»
La nuova formulazione
Nella nuova versione, operativa dal 17 luglio 2020, il reato di abuso d’ufficio colpisce sempre il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto ma ciò deve accadere «in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità»
Il dovere di astensione
Il Codice penale
Il decreto legge Semplificazioni non ha invece modificato la seconda delle condotte individuate dall’articolo 323 del Codice penale che integrano il reato di abuso d’ufficio. Così, continua a essere sanzionato il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto «omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti»
L’applicazione
La giurisprudenza ha chiarito che il dovere di astensione per i pubblici agenti in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto integra il reato anche se manchi per quello specifico procedimento una disciplina dell’astensione o se abbia una portata più ridotta o se non abbia carattere cogente.
Il ricorso a un’altra fonte normativa è solo necessario per le ipotesi diverse dall’interesse proprio o di un prossimo congiunto («gli altri casi prescritti» nella formulazione dell’articolo 323 del Codice penale)