Il reato di depistaggio collegato alla funzione di pubblico ufficiale
il reato di frode in processo penale e depistaggio è proprio del pubblico ufficiale, o dell’incaricato del pubblico servizio; la qualifica deve essere precedente alle indagini e l’attività in rapporto di connessione funzionale con l’accertamento che si presume inquinato; la condotta deve essere finalizzata all’alterazione dei dati, oggetto dell’indagine o del processo penale, da acquisire o dei quali il pubblico ufficiale è venuto a conoscenza nell’esercizio della funzione. Lo precisa la Corte di cassazione nella prima sentenza, la n. 24557 della Sesta sezione, che ha interpretato la nuova figura di reato introdotta nel 2016 con la legge n. 133.
Nel caso in esame un vigile urbano era stato messo agli arresti domiciliari con l’accusa di avere istigato dei colleghi a offrire dichiarazioni false per favorirla nell’ambito di un procedimento penale su vicende personali.
Il primo interrogativo cui risponde la sentenza è sulla necessità che la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio rappresenti elemento essenziale del reato a prescindere dalla connessione tra questa qualità e l’attività a cui è collegato il reato. La risposta è positiva perchè malgrado la mancata specificazione delle ipotesi di reato in rapporto alle quali potrebbe assumere rilievo penale l’attività di false dichiarazioni, «l’elevata previsione sanzionatoria guida nel connettere l’obbligo di dire la verità a un dovere inerente specificamente alla funzione, il cui svolgimento implica una fisiologica convergenza di interessi tra pubblica amministrazione rappresentata e dipendente chiamato a svolgerne le funzioni».
In questo senso milita anche il mancato riconoscimento delle cause di non punibilità sulla necessità di essere costretti a salvare sè o altri da un pericolo. A prevalere è cioè il dovere di collaborazione che discende dal rapporto professionale che impone l’esistenza precedente al fatto della qualifica di pubblico ufficiale e il maggiore valore del vincolo funzionale con lo Stato rispetto agli interessi personali.
In questa prospettiva viene accolto il ricorso presentato dalla difesa, visto che l’esoposizione di dati falsi da parte dei vigili urbani aveva per oggetto fatti che erano stati sì conosciuti in occasione del suo lavoro di vigile urbano, ma non a causa di questa attività.
Va tenuto presente poi quanto a possibile “scopertura” di condotte che potrebbero assumere rilevanza penale, ma non essere comprese nel perimetro del nuovo reato, che lo stesso nuovo articolo 375 del Codice penale prevede comunque l’inserimento dell’aggravate del reato comune. In ogni caso, chiarisce ancora la sentenza, in caso di impossibilità di applicazione del depistaggio, potranno soccorrere altri delitti come quello di false comunicazioni al pubblico ministero.
Corte di cassazione, Sesta sezione penale, sentenza 17 maggio 2017 n. 24557