Penale

Il reimpiego del profitto illecito è autoriciclaggio

L’autore del reato aveva versato assegni ad una banca ed emesso vaglia

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di Valerio Vallefuoco

Costituisce autoriciclaggio il reimpiego del profitto illecito, da parte dell’autore del reato, attraverso il versamento di un assegno circolare in una banca e la emissione di vaglia circolari per estinguere debiti personali e per finanziare anche con una minima parte società in accomandita semplice.

La conferma arriva in data 23 settembre 2021 dalla sentenza 35260/21 della Cassazione. Nella specie, è stata impugnata innanzi la Suprema corte un’ordinanza con la quale il Tribunale della libertà di Rimini aveva respinto l’istanza di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo disposto nei confronti di più soggetti, indagati per appropriazione indebita, autoriciclaggio, rapina, frode esattoriale e riciclaggio. La difesa aveva dedotto la nullità dell’impugnata ordinanza per violazione dei principi in tema di autoriciclaggio contestato ad uno degli indagati nonostante il difetto di una condotta differente rispetto a quella integrante il reato presupposto di appropriazione indebita. Secondo la difesa la condotta contestata come autoriciclaggio, consistente nella percezione di un vaglia circolare di 350.000€ e nella successiva emissione di due ulteriori vaglia circolari, coincidevano e non potevano ritenersi integrare diverse fattispecie delittuose. Ma la Cassazione ha evidenziato che l’indagato, dopo aver incassato il vaglia lo impiegava per estinguere un debito e delle ipoteche mentre un ulteriore assegno di 20.000 euro veniva versato a favore di una Sas intestata agli altri due indagati.

In queste condotte, secondo la Corte, sarebbero ravvisabili gli estremi dell’autoriciclaggio posto che, il profitto illecito, veniva reimpiegato dall’autore in attività economiche e finanziarie costituite e dal versamento alla Sas attiva nel commercio di autovetture, che così veniva ad usufruire di capitali illeciti alterando l’ordine pubblico economico, e dal versamento per estinguere debiti in favore di un istituto di credito, alterando i principi della garanzia patrimoniale del debitore e del pari trattamento. La Corte ha ritenuto che nella specie ricorrerebbe una condotta dissimulatoria, non estranea all’autoriciclaggio, configurabile laddove dopo la consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito avvenga non direttamente ad opera dello stesso autore del reato presupposto ma attraverso l’intestazione del medesimo ad un terzo. In definitiva, per la Cassazione anche il trasferimento del profitto illecito ad un istituto bancario terzo o ad una società costituisce pur sempre una sua modalità di impiego, sostituzione o trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative non potendosi, di conseguenza affermare che l’indagato si sia limitato a ricevere il profitto dell’appropriazione indebita. La sentenza evidenzia che anche condotte ordinarie come quelle di estinguere debiti personali per le modalità attuate possono configurare il reato di autoriciclaggio.

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