Penale

Il segreto professionale in sede di verifica

Nota a sentenza Corte di Cassazione - Sez. III Penale, Sentenza 1 dicembre 2020 n. 34020

di Mattia Miglio, Paolo Comuzzi


La pronuncia oggetto di commento offre interessanti spunti di riflessione in merito al tema del segreto professionale.

La vicenda può essere così descritta: Il Tribunale del riesame di Mantova rigettava l'istanza avanzata da una società in merito al sequestro di quote societarie nell'ambito di un procedimento penale avente ad oggetto la violazione di alcune disposizioni penal-tributarie.

Nel presentare ricorso, il ricorrente, tra i vari motivi, rilevava l'inutilizzabilità di documenti sequestrati presso lo studio di un professionista e, in particolare, deduceva che "…il Tribunale del riesame avrebbe ritenuto utilizzabili i documenti acquisiti dalla Guardia di Finanza durante una ispezione presso lo studio professionale del ragioniere omissis, sebbene l'assenza di un provvedimento di autorizzazione della Procura della Repubblica e, pertanto, in violazione delle forme e modalità previste dalla legge …" e, in particolare, rilevava che "il Tribunale avrebbe ritenuto legittimo l'utilizzo dei documenti perché non sarebbe stato eccepito il segreto professionale dal omissis, motivazione in palese violazione degli artt. 52 d.P.R. n. 633/1972 e 220 disp. att. c.p.p. Invero, la ricorrente sostiene che occorra l'autorizzazione della Procura e che il segreto professionale assume rilevanza solamente in relazione all'esame dei documenti e alla richiesta di notizie …".

Chiamata così ad occuparsi dei rapporti "tra accertamento tributario e procedimento penale, in particolare per quanto concerne l'utilizzabilità degli atti di polizia tributaria, nonché l'utilizzabilità fiscale degli elementi probatori acquisiti in sede penale" , la Suprema Corte puntualizza subito che l'accesso "…consiste "nell'ingresso e nella permanenza coattiva nei luoghi ove è esercitata l'attività di impresa, artistica, agricola o professionale, infatti, possono essere reperiti durante la relativa indagine degli elementi "fondamentali", da parte dei soggetti deputati al controllo delle norme tributarie e rappresenta indubbiamente il mezzo di indagine più "invasivo" di cui dispone l'Amministrazione finanziaria nell'espletamento della propria attività d'istituto nei confronti del cittadino-contribuente. Al riguardo, occorre precisare che l'accesso può essere effettuato nei locali adibiti "anche" ad abitazione privata, ma occorre, in tal caso, la previa autorizzazione daparte del procuratore della Repubblica …".

Ciò premesso, i giudici rilevano in prima battuta che "… a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 18 della L. 413/1991, che ha modificato l'art. 52 sopra citato, l'unica differenza dell'accesso nei locali destinati all'esercizio di arti o professioni rispetto all'accesso presso le aziende consta nella "necessaria presenza del titolare dello studio o di un suo delegato …", confermando anche che è "…pacifico che qualora all'atto dell'accesso presso lo studio professionale, il titolare sia assente per qualsiasi ragione ed in mancanza di un suo delegato, "i verificatori non possono intervenire d'autorità, né richiedere l'assistenza di terzi; ne consegue che il soggetto eventualmente presente nello studio è pienamente legittimato ad opporsi sia all'accesso stesso sia alla richiesta di esibizione delle scritture contabili".

Proseguendo nella disamina, i giudici evidenziano come "…Per i professionisti appartenenti a determinati ordini professionali (quali avvocati, dottori commercialisti, consulenti del lavoro, notai) è prevista la rigorosa osservanza del segreto professionale ed il massimo riserbo sui fatti e sulle circostanze apprese nello svolgimento della propria attività professionale …", esplicitando anche che la violazione del segreto professionale può "costituire illecito disciplinare, ma la sua tutela è assicurata soprattutto dalla legge penale (art. 622 c.p.). La ratio della norma si rinviene nell'esigenza di salvaguardia dei rapporti intimi professionali determinati da necessità o quasi necessità, nonché nell'interesse pubblico a che il professionista preservi la segretezza dei fatti di cui venga a conoscenza nell'esercizio del ruolo ricoperto, in tal modo garantendo la tutela della libertà e della sicurezza dei rapporti professionali …".

Ne consegue così che "il segreto professionale si configura come un diritto-dovere che resiste anche di fronte all'esercizio dei poteri istruttori delle Autorità. Nell'ordinamento tributario, il segreto professionale è previsto dall'art. 52, comma 3 del D.P.R. 633/1972, secondo cui è"necessaria l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell'autorità giudiziaria più vicina (...) per l'esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all'articolo 103 del codice di procedura penale …".

Ovviamente, tale diritto-dovere "riguarda esclusivamente notizie e documenti che attengono all'esercizio dell'attività professionale, in stretta connessione con la natura dell'attività stessa del professionista, di cui quest'ultimo ha necessità per il corretto espletamento del proprio lavoro oppure essendo condizione essenziale per lo svolgimento della professione. Non tutti i documenti e notizie di cui il professionista sia in possesso o venga a conoscenza in occasione dello svolgimento dell'attività professionale, pur concernenti il cliente, hanno carattere "segreto" …".

In conclusione, "nel caso in cui il professionista, nel corso dello svolgimento dell'attività accertativa presso il suo studio, non consenta l'accesso a determinati documenti "eccependo" in ordine agli stessi il segreto professionale, i verificatori non avranno altra alternativa che sospendere l'attività di verifica e richiedere la menzionata autorizzazione. Infatti, solo qualora la chiesta autorizzazione sia concessa da parte del magistrato, gli organi verificatori potranno riprendere l'attività di verifica finalizzata alla conseguente legittima acquisizione dei documenti per i quali in un primo momento era stato eccepito il segreto professionale …".

In questo senso, appare fondamentale il profilo sotteso all'inciso "nel corso dello svolgimento della attività accertativa presso il suo studio" perché è in quel momento che il professionista deve far valere (ove ritenga necessaria tale azione) il segreto professionale, obbligando alla sospensione della verifica per la richiesta delle necessarie autorizzazioni che consentano una legittima assunzione dei documenti e quindi del contenuto degli stessi.
Ove il professionista rimanga silente e non faccia alcuna opposizione invocando il segreto professionale la contestazione mossa a posteriori non potrà essere presa in considerazione in quanto sollevata tardivamente (o, per essere precisi, non sollevata in quanto la non proposizione equivale ad un assenso).

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