Penale

Il silenzio della moglie asservita non è consenso all’atto sessuale con il marito

Il dissenso che è elemento costitutivo del reato di violenza sessuale può essere implicito e derivare dal timore di più gravi conseguenze pregiudizievoli. Il presunto consenso è errore di fatto che va provato dall’agente

immagine non disponibile

di Paola Rossi

Il clima familiare connotato dalla sopraffazione del marito violento o prevaricatore costituisce elemento implicito del dissenso della moglie che subisca in silenzio gli atti sessuali agiti dal coniuge nei suoi confronti.

Il reato di violenza sessuale non è scriminato dalla relazione di coniugio e di convivenza se l’atto è compiuto in assenza di consenso dell’altra persona che si trovi in uno stato di prostrazione, tale da cedere alla violenza o alla minaccia, per aver perso la propria libertà di autodeterminazione sessuale. La mancanza di dissenso esplicito o espresso che può far presupporre al coniuge che attinge la sfera sessuale dell’altro la sussistenza di un implicito consenso non rende legittima la condotta subita dalla vittima. L’errore sul dissenso è comunque errore di fatto che va provato in giudizio dall’imputato.

La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 38909/2024 - ha accolto il ricorso del procuratore contro la riforma in chiave assolutoria della sentenza di condanna (per il reato previsto dall’articolo 609 bis del Codice penale) emessa all’esito di giudizio abbreviato dal giudice delle indagini preliminari a carico del marito, che aveva instaurato un clima di vessazioni e umiliazioni contro la moglie dalla quale aveva preteso prestazioni sessuali o le aveva imposto di subire atti intimi a cui la donna non aveva però dissentito espressamente.

Nella vicenda emergeva che la donna accettava le proposte sessuali dal marito per il timore delle sue reazioni e per mantenerlo “calmo”. Quindi, in realtà, la moglie non opponeva neanche un implicito dissenso alla volontà del marito di compiere atti sessuali o completi congiungimenti carnali. L’imputato, in alcuni casi, non aveva dovuto neanche protrarre la propria violenza o la minaccia per tutto il tempo necessario al compimento dell’atto sessuale.

Ma tali rilievi non valgono - come afferma la Cassazione - a scriminare il reato vista l’assenza di prova del consenso della donna che invece affermava di non aver reagito in alcun modo alle proposte sessuali del marito manifestandogli espressamente la propria contraria volontà. Il dissenso che è elemento costitutivo del reato può essere anche implicito o taciuto, ma l’errore sulla sua sussistenza costituisce errore di fatto che va provato dall’imputato se erroneamente non l’ha percepito.

Infine, anche il mancato protrarsi per tutta la durata dell’atto sessuale delle violenze o delle minacce non esclude il reato quando quelle già agite e in passato o all’inizio della singola condotta sono sufficienti a coartare la volontà della vittima.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©