Lavoro

Illegittimo il licenziamento in occasione del trasferimento d'azienda

Secondo un orientamento consolidato, e ad oggi non smentito, della giurisprudenza di legittimità, il licenziamento del dipendente che viene motivato dal trasferimento d'azienda è considerato illegittimo solo se il trasferimento stesso è intercorso prima dell'atto di recesso.

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di Marco Proietti*

IL CASO SOTTOPOSTO AL GIUDIZIO DELLA CASSAZIONE

Nel caso deciso dalla Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 7391 del 7 marzo 2022, il lavoratore era stato licenziato dalla società cedente in data 22 gennaio, e poi trasferito alle dipendenze della società cessionaria il successivo 23 gennaio, ma il trasferimento d'azienda ex art. 2112 cod. civ. era già intervenuto tra le due compagini societarie il precedente 14 gennaio: il lavoratore, quindi, licenziato poi anche dalla cessionaria, ha impugnato il recesso rilevando l'illegittimità del licenziamento.

Il primo licenziamento era intervenuto all'esito di una ampia procedura di mobilità con dismissione di un reparto, e il trasferimento dello stesso presso la cessionaria, mentre il secondo licenziamento era perfino avvenuto in costanza di prova.

Le questioni che meritano rilievo, dunque, sono almeno due:

- la prima, la valutazione del momento in cui si è verificato il trasferimento d'azienda (se prima o dopo il licenziamento) e, quindi, nei confronti di quale datore di lavoro è legittimo agire;

- la seconda, la valutazione di un motivo illecito unico e determinante, ovvero la simulazione del trasferimento volta ad aggirare la normativa sui licenziamenti collettivi, ed il conseguente diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.

COSA SUCCEDE ALL'ATTO DI UN TRASFERIMENTO D'AZIENDA

Procedendo per gradi, e come già si avuto modo di anticipare, nell'ambito di una cessione o fitto di ramo d'azienda ex art. 2112 cod. civ., come da consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito, la responsabilità solidale del cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d'azienda, presuppone la vigenza del rapporto di lavoro e non è quindi riferibile in alcun modo ai crediti successivamente accertati e comunque facenti riferimento ad un rapporto di lavoro che era già cessato al momento del trasferimento medesimo.

Sul punto oramai da tempo è consolidata la posizione della giurisprudenza di legittimità: fra le tante, nella sentenza commentata viene ricordata Cass. 15 febbraio 2019, n. 4622, ma in questa sede è utile richiamare l'attenzione anche su Cass. 6 marzo 2015, n. 4598, nonché Cass. 29.3.2010, n. 7517 che conferma quanto in Cass. 19.12.1997, n. 12899. Ma anche i giudici di merito sono pressoché unanimi sull'argomento: cfr. Trib. Roma 22.2.2012 e Trib. Milano 25.10.2001.

UN INCISO SULLA CASSAZIONE 2019

Il richiamo alla Cassazione 4622/2019 non è casuale. La portata della decisione è estremamente penetrante nell'ambito della disciplina del trasferimento d'azienda.

Si ha quindi per consolidato l'assunto che il trasferimento di azienda – dunque il diritto del lavoratore di transitare dal cedente al cessionario, con conservazione di quanto maturato sino a quel momento, e con responsabilità solidale tra le due società – sussiste solo ed esclusivamente per i rapporti di lavoro in essere e non quelli già conclusi; per cui, se il trasferimento è successivo al licenziamento, perché solo in un secondo momento si vengono a creare le condizioni o le opportunità economiche per lo stesso, il lavoratore eventualmente licenziato dalla società cedente non potrà chiedere né il passaggio alle dipendenze della cessionaria e né, tantomeno, l'applicazione della tutela reale: se il rapporto di lavoro non era esistente al momento del trasferimento, quindi, le due fasi lavorative restano distinte e non possono essere considerate in commistione tra di loro.

UN CASO DI PRASSI AZIENDALE: IL CAMBIO APPALTO

Una circostanza simile si può ritrovare anche nelle vicende relative alle procedure di cambio appalto. Si ipotizzi, per esempio la società A quale appaltatrice di servizi di pulizia che, in un dato momento, decide di cessare il rapporto con Tizio, lavoratore dipendente, per ragioni economiche, dunque un normale licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo; il lavoratore, a quel punto, impugna il licenziamento e agisce per ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro, ovvero l'appalto dove era stato inizialmente assegnato.

Nelle more del giudizio la società A, però, cessa definitivamente l'appalto e, in ragione della persistente crisi economica, cede un ramo d'azienda alla società B, che subentra in alcuni affari ovvero gli appalti di servizi ancora attivi: a questo punto, appalti e lavoratori transitano automaticamente con la nuova compagine societaria. Tizio nel frattempo vince la causa e, ottenuta la reintegra con la società A, e accortosi della cessione di ramo d'azienda, avanza quindi la richiesta di assunzione/passaggio alle dipendenze della società B azionando in via esecutiva la sentenza ottenuta. La società B, però, rifiuta.

Seguendo il ragionamento fatto anche dalla Cassazione e dalle altre pronunce richiamate, Tizio non ha diritto di passare alle dipendenze della società B e né potrà rivendicare nei confronti della medesima alcuna solidarietà per eventuali differenze retributive maturare: il rapporto di lavoro, conclusosi prima della cessione del ramo d'azienda, seguirà le sue normali vicende (anche giudiziarie) unicamente con la società A, e la sentenza ottenuta nei confronti di questa non potrà essere opposta ad un eventuale cessionaria subentrata.

*di Avv. Marco Proietti – Foro di Roma

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