Penale

Impianti sportivi “pericolosi”, i limiti alla responsabilità del gestore

La Cassazione, sentenza n. 1425 depositata oggi, ricapitola la disciplina accogliendo il ricorso del gestore di un circuito motociclistico condannato per la morte di un centauro

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di Francesco Machina Grifeo

La Cassazione, sentenza n. 1425 depositata oggi, fa il punto sulle responsabilità dei gestori degli impianti sportivi rischiosi, come piscine, piste da sci e, nel caso specifico, circuiti per il motociclismo. La regola generale, chiarisce la IV Sezione penale, accogliendo il ricorso del gestore della pista condannato a 6 mesi per la morte di un centauro, è quello della inesigibilità di condotte non previste dalla legge o comunque dalla relative federazioni.

Nel caso specifico, la vittima dopo aver percorso il rettilineo principale, anziché impostare la curva, proseguiva dritto a circa 70 km/h, in tal modo la spalletta del terrapieno che delimitava a destra la curva (la cui funzione era quella di accompagnare i motociclisti nella esecuzione della curva) diventava una sorta di trampolino provocando un “volo balistico” sopra la cd “zona neutra” fino a schiantarsi contro il muro di delimitazione della ferrovia limitrofa.

Per la Corte di appello, che pure aveva riconosciuto la corretta omologazione del circuito e l’assenza di responsabilità da parte del tecnico omologatore, il gestore avrebbe dovuto “effettuare uno studio sulla sicurezza dell’impianto” e una “valutazione dei relativi rischi, essendo notoriarnente il motocross uno sport di elevata pericolosità, e ciò anche se detto obbligo non era previsto dalla normativa di settore”. In particolare, individuando “tutte le probabili traiettorie di uscita dalla curva da parte dei veicoli” ed “approntando gli idonei accorgimenti di sicurezza”.

Una lettura bocciata dalla Cassazione dopo un ripasso generale delle regole in materia di impianti sportivi. Così per esempio nelle nello sci l’obbligo di recintare la pista ed apporre idonee segnaletiche vige “solo in presenza di un pericolo determinato dalla conformazione dei luoghi che determini l’elevata probabilità di un’uscita di pista dello sciatore, apparendo inesigibile pretendere che tutta la pista sia recintata o che tutti i pericoli siano rimossi”.

In generale, dunque, la giurisprudenza individua il contenuto dell’obbligo giuridico del gestore “nella vigilanza sul rispetto delle regole di utilizzo interno dell’impianto (nella specie, nessuna violazione in tal senso è venuta in considerazione) ovvero delle specifiche regole previste da normative speciali (si vedano le norme sull’attività sciistica) e dai regolamenti emanati dalle Federazioni sportive”. Nel caso di specie, secondo il regolamento della Federazione motociclismo, la “ zona neutra” della curva doveva rispettare la misura di 100 cm, parametro più che rispettato considerato che la “zona misurava 180 cm” e, infatti, il circuito era stato ritualmente omologato.

Il gestore dell’impianto, conclude la Corte, “è tenuto a vigilare sulla regolare organizzazione della attività in base alla disciplina prevista dalle Federazioni sportive, e non è sostenibile che egli sia tenuto ad intervenire con un comportamento attivo che superi le previsioni regolamentari”, in tal modo “ponendo in capo al gestore un obbligo di fatto inesigibile per ampiezza e genericità”.

In definitiva il ricorrente aveva adempiuto “a tutti gli obblighi” essendosi affidato al regolamento della Federazione Motociclistica Italiana e alle omologhe del circuito da parte dei “maggiori esperti del settore”. Non era dunque esigibile una ulteriore “ricerca di tecnici con esperienza ancora superiore a quelli del comitato impianti della Federazione”.

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