Import di falsi grossolani: non è necessario l’«inganno»
L’importazione di capi d’abbigliamento contraffatti è un reato di pericolo, pertanto non è nemmeno necessario che siano idonei a ingannare un consumatore mediamente attento. In sostanza, la semplice introduzione nello Stato del falso marchiano integra la fattispecie di reato (punito con la reclusione da 1 a 4 anni e multa fino a 35 mila euro).
La Seconda sezione penale della Corte di cassazione - sentenza 39025/17 - torna sulla tutela dei marchi rendendo definitiva la condanna di due cittadini cinesi accusati di aver, tra l’altro, importato ripetutamente diverse tipologie di beni falsificati, da ultimo una serie di sciarpe di materiale sintetico con la falsa etichetta «Pashmina cachemire».
Secondo i difensori, le corti di merito non avevano tenuto in considerazione proprio la grossolanità della falsificazione, stante appunto lo scadente materiale di realizzazione. Si sarebbe insomma trattato di un falso innocuo o grossolano, percepibile ictu oculi e idoneo semmai a integrare gli estremi della «mera imitazione figurativa che si assume idonea, al più, a determinare una violazione del diritto d’autore».
Per la corte di Cassazione, invece, la norma incriminatrice (l’articolo 474 del Codice penale) è rivolta a tutelare, in via principale e diretta, non l’acquirente dei marchi protetti ma bensì la pubblica fede, «intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione». Da qui la considerazione, appunto, di reato di pericolo, che viene in essere a prescindere dalla effettiva realizzazione dell’inganno. Tra l’altro, aggiunge la Seconda, nel caso specifico i contraffattori avevano anche riprodotto con una certa precisione proprio i marchi distintivi protetti dalla norma.
Ai due imputati era contestata inoltre un’ipotesi di ricettazione, fattispecie più grave di quella invocata dai difensori, la contravvenzione di «acquisto di cose di provenienza sospetta». Secondo i giudici di legittimità, che hanno anche qui avallato le conclusioni delle corti di merito, in assenza di plausibili spiegazioni sulla «legittima acquisizione» delle merci, la consapevolezza della provenienza illecita è stata desunta dalla mancanza di documenti giustificativi degli acquisti e di documenti fiscali, in aggiunta alla scadente qualità dei materiali e delle caratteristiche dell’imballaggio. Tutto questo è rivelatore, secondo la Seconda sezione penale, della volontà di occultamento «logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede».
Per questi motivi la Cassazione ha definitivamente negato anche la sospensione condizionale della pena ai due imputati cinesi.
Corte di cassazione, sentenza 9 agosto 2017, n. 39025