Civile

Impugnazione cumulativa tributaria e contributo unificato

Il contrasto tra il calcolo del contributo unificato nel ricorso cumulativo e i principi della Carta Costituzionale

di Maurizio Villani*

La disciplina normativa prevista per il contributo unificato è differente rispettivamente per il processo civile, il processo amministrativo e il processo tributario.

Precisamente, nel processo tributario, in caso di ricorso cumulativo contro più atti impositivi il contributo viene calcolato con riferimento a ciascuno degli atti e non cumulativamente in base al valore della causa.

La disposizione è posta dal comma 3 bis dell'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), modificato dall'articolo 1, comma 598, lettera a) della Legge n.147/2013 (Legge di Stabilità 2014); invero, la tassazione per singoli atti, anziché per l'intero valore della causa, prevista nella predetta Legge di Stabilità, ha una finalità essenzialmente fiscale che contrasta con la ratio del ricorso cumulativo che ha la finalità di celerità e snellezza eliminando il pericolo di contrasto di giudicati.

E' di tutta evidenza che tale disposizione recata dalla Legge di Stabilità 2014 violerebbe una serie di principi costituzionali.

La giurisprudenza di merito la Ctp di Campobasso, con ordinanza del 7 maggio 2015 ha sollevato questione di legittimità costituzionale del comma 3-bis dell'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), TUSG, nella parte modificata dell'art. 1, comma 598, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), per contrasto con i seguenti principi costituzionali: di uguaglianza e ragionevolezza (articolo 3 della Costituzione), di capacità contributiva (articolo 53) del diritto di difesa (articolo 24) e della tutela giurisprudenziale (articolo 113), nonché del diritto ad un processo equo e a un rimedio giudizionale effettivo (articolo 117, comma 1, in relazione agli articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo).

Nello specifico, a parere dei giudici di prime cure, l'applicazione della legge impugnata imporrebbe di chiedere un identico contributo a chi attivi un solo processo proponendo un unico ricorso per più atti e a chi propone un ricorso per ciascuno atto impugnato provochi l'attivazione di molteplici processi.

Più nel dettaglio, la Commissione ha rilevato il contrasto del comma 3 bis, articolo 14 con i principi di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione; a parere dei giudici di primo grado, infatti, tale disposto normativo è irragionevole in quanto opera una discriminazione in riferimento all'entità del sacrificio imposto al contribuente nel ricorso cumulativo, laddove prevede una diversa quantificazione dell'ammontare del contributo unificato in caso di provvedimenti concernenti tributi rispetto a quelli che non concernono solo sanzioni (per i quali si applicherebbe il principio del cumulo) pur a parità di debito verso l'erario.

Per di più, tale addentellato normativo sarebbe inoltre inconferente e irrazionale attesto che il presupposto impositivo unitario farebbe corrispondere una molteplicità di basi imponibili (i valori dei singoli atti impositivi e non il valore del processo).

Pertanto, il principio di uguaglianza e di ragionevolezza, contemplati dall'art. 3 della Costituzione, sarebbero violati anche con riferimento alla disciplina dettata per il processo civile per le domande azionate cumulativamente alle quali si applicano gli articoli 10 e 104 del Codice di procedura civile, essendo identico il presupposto dell'imposizione e identico l'indice di capacità contributiva .

Secondo i giudici di prime cure, dunque, il comma 3 bis del decreto 115/2022 modificato dall'articolo 1, comma 598, lettera a) della legge 147/2013 (legge di stabilità 2014) rappresenta una norma illogica in quanto impone un sistema di calcolo più gravoso nel processo tributario rispetto a quello civile.

In particolare, predetta norma violerebbe anche:

• il diritto di difesa (art. 24 Cost) poiché rappresenta un deterrente per coloro che vorrebbero avvalersi dello strumento del ricorso cumulativo;
• l'art. 113 Cost (Tutela giurisdizionale contro gli atti della Pubblica amministrazione), atteso che l'imposizione di un contributo non rapportato al costo del processo costituirebbe un eccessivo peso tributario;
• in ultimo, predetto articolo viola altresì l'art. 6 CEDU che tutela il principio dell'equo processo.

La Corte Costituzionale, in maniera alquanto sbrigativa, con la sentenza n.78 del 7 aprile 2016, ha dichiarato inammissibili per difetto di motivazione delle censure, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 3- bis , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nella parte modificata dall'art. 1, comma 598, lett. a ), della legge n. 147 del 2013), impugnato, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 113 e 117, primo comma, Cost., in quanto dispone che, anche nel caso di ricorso cumulativo, il contributo unificato debba essere «determinato per ciascun atto impugnato, anche in appello».

La Consulta, ha così argomentato in riferimento alla pretesa violazione degli artt. 3 e 53 Cost, affermando che il giudice rimettente non ha argomentato minimamente in ordine alle ragioni per le quali debba sussistere un identico trattamento tra tributi e sanzioni, stante la diversa natura e funzione e la distinta disciplina, né ha spiegato compiutamente perché, a fronte di una disomogeneità dei criteri fissati per determinare il valore della lite nei singoli ambiti processuali, calati sulle particolarità delle questioni ivi deducibili e sulle peculiarità dei diversi processi, solo il criterio del rito civile, ancorato al valore unitario del processo, dovrebbe essere assunto quale tertium comparationis .

Inoltre, con riferimento all'asserita violazione del principio della capacità contributiva, ha ritenuto che le censure dei giudici di prime cure non appaiono congruenti in relazione alla fattispecie normativa in esame.
Infatti, detto principio non riguarda né una singola imposizione ispirata a principi diversi da quello della progressività, né la spesa per i servizi generali, coperta da imposte indirette o da entrate dovute esclusivamente da chi richiede una determinata prestazione e, pertanto, non è invocabile e non può operare con riguardo alle spese di giustizia.

Invece, in riferimento alla dedotta violazione degli artt. 24 e 113, primo comma, Cost., il rimettente non ha chiarito in alcun modo per quale motivo il diritto di difesa sarebbe conculcato dal meccanismo di determinazione del contributo unificato nel ricorso cumulativo oggettivo mentre non lo sarebbe con riguardo a quello previsto per ogni singolo atto.

In ultimo, l'asserito contrasto con gli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo si configura come oggetto di mera asserzione, priva di alcun riscontro argomentativo in grado di giustificare la pretesa lesione del diritto ad un processo equo e a una tutela giurisdizionale effettiva. Il Giudice delle Leggi in predetta sentenza ha concluso che, "per il costante orientamento della Corte secondo cui il principio della capacità contributiva come limite alla potestà di imposizione di cui all'art. 53 Cost. non riguarda «né una singola imposizione ispirata a principi diversi da quello della progressività, né [...] la spesa per i servizi generali [...] coperta da imposte indirette o da entrate che siano dovute esclusivamente da chi richiede la prestazione dell'ufficio organizzato per il singolo servizio o da chi ne provoca l'attività», v. la citata sentenza n. 30/1964; in senso conforme, sentenze nn. 167/1973, 149/1972 e 23/1968".

L'analisi del dictum della Corte Costituzionale, impone la formulazione di alcune considerazioni.

Si condivide il parere espresso da parte della dottrina, secondo cui l'irragionevolezza della norma citata dalla CTP di Campobasso nella sua ordinanza di rimessione, è evidente in base al buon senso e all'interpretazione della legge nella sua effettiva portata.

Inoltre, vi sono nel codice di procedura civile delle norme sul contributo unificato che essendo disposizioni di carattere generale e nell'ottica del rispetto dell'unità dell'ordinamento giuridico, necessitano di applicazione anche nel processo tributario.

Da ciò ne consegue che risultano incostituzionali le norme riferite al processo tributario per disparità di trattamento.

Le disposizioni tributarie hanno carattere fiscale ma, dal punto di vista dell'oggetto, il processo tributario è analogo al processo civile; ossia come sostiene la Suprema Corte l'impugnazione dell'atto nel processo tributario introdotto contro impositivi ha ad oggetto gli atti «il riesame del merito del rapporto», sicchè la ratio del contributo è sempre la medesima .


Contributo unificato e atti presupposti

Dopo aver messo in luce nel paragrafo precedente il contrasto tra il calcolo del contributo unificato nel ricorso cumulativo e i principi della Carta Costituzionale, giova segnalare il seguente principio enucleato dalla CTP di Reggio Emilia con la sentenza n. 275/2/2019, depositata il 25 novembre 2019 che, in materia di contributo unificato relativo all'impugnazione degli atti presupposti, ha affermato che qualora il contribuente con il ricorso contro l'intimazione di pagamento dichiara di voler impugnare anche tutti gli atti presupposti occorre versare il contributo unificato per ciascun atto.

La vicenda trae origine dal ricorso presentato da un contribuente che impugnava un'intimazione di pagamento derivante dall'emissione di alcune cartelle di pagamento che asseriva mai notificate.

Successivamente, in sede di iscrizione a ruolo, non corrispondeva il contributo unificato tributario (Cut). L'ufficio di segreteria della Commissione notificava al ricorrente un atto di regolarizzazione quantificando il contributo dovuto sulla base di tutte le cartelle da cui derivava l'intimazione. Il contribuente impugnava tale richiesta ritenuta illegittima rilevando che l'unico atto oggetto del ricorso era l'intimazione di pagamento e non le cartelle di pagamento (atti presupposti). Per tale ragione, il contributo doveva essere quantificato sulla base dell'unico atto formalmente impugnato.

L'Agenzia delle Entrate evidenziava, di converso, che nel ricorso era stato chiesto l'annullamento dell'intimazione di pagamento e di ogni altro atto o provvedimento comunque connesso, dipendente o conseguente rispetto a quelli espressamente impugnati e che nelle conclusioni dell'atto si domandava l'annullamento degli «atti impugnati».

La CTP, nel rigettare il ricorso introduttivo, ha richiamato diverse pronunce della Corte di Cassazione, affermando che "In materia di riscossione delle imposte, atteso che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l'omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell'atto iniziale notificato.Poiché tale nullità può essere fatta valere dal... contribuente mediante la scelta consentita dall'art. 19, comma 3 del D.Lgs. n. 546 del 1992 di impugnare solo l'atto consequenziale notificatogli l'avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione, facendo valere il vizio derivante dall'omessa notifica dell'atto presupposto o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell'ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest'ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell'atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l'esistenza, o no, di tale pretesa. "(Sez. 5, Ordinanza n. 1144 del 18/01/2018 (Rv. 646699 - 01), ma, già, in Sez. U., Sentenza n. 5791 del 04/03/2008 (Rv. 602254 - 01).

Da ciò ne discende secondo la Suprema Corte che il ricorrente era libero di scegliere se impugnare tutta la sequenza degli atti presupposti, come ha fatto, od il solo atto finale, essendo del tutto ininfluente, ai fin di un compiuto esercizio del diritto alla difesa, l'una o l'altra scelta.

Precisamente, il TUSG dispone, all'art. 14, comma 3 bis, che "Nei processi tributari, il valore della lite, determinato, per ciascun atto impugnato anche in appello, ai sensi del comma 2 dell'articolo 12 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito".

Alla luce di tanto, i giudici di primo grado hanno ritenuto che il contribuente avesse inteso impugnare e chiedere l'annullamento di più atti e non della sola intimazione di pagamento; da tanto ne discende l'obbligo da parte del contribuente di versare il contributo unificato per ogni atto impugnato.

Peraltro, si rammenta, che in base all'articolo 16 del Testo unico delle spese di giustizia, l'omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato comporta l'applicazione della sanzione amministrativa dal 100% al 200% della maggior imposta dovuta.

Il mancato versamento, tuttavia, non impedisce lo svolgimento del giudizio, ma rileva sul piano fiscale e dovrà comportare la regolarizzazione successiva da parte del ricorrente.

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*A cura di Maurizio Villani, Avvocato Tributarista in Lecce, Partner 24 ORE Avvocati - Studio Legale Tributario Villani


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