Civile

“Imputato” al posto di “indagato”, le S.U. decideranno se è diffamazione

L’ordinanza interlocutoria n. 12239/2024 della Prima sezione ha posto la stessa questione anche riguardo l’attribuzione di un “reato consumato” piuttosto che di un “reato tentato”, sempre da parte delle stampa

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di Francesco Machina Grifeo

Al fine della ricorrenza della diffamazione o della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, saranno le Sezioni unite a stabilire quale sia il rilievo che assume la circostanza che, al soggetto che si assume leso dall’articolo di stampa, sia stata attribuita, direttamente o indirettamente - mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche - la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che di un reato tentato. La Prima Sezione civile, ordinanza interlocutoria n. 12239/2024, ha infatti rimesso alla Prima Presidente la soluzione della questione ritenuta di “massima di particolare importanza e oggetto di contrasto” in particolare tra le Sezioni civili e quelle Penali.

A scatenare il contenzioso, il titolo “Truffa del superfinanziere” riportato nel 2013 sul sito online di un settimanale, in cui si affermava che un noto banchiere era imputato per truffa, mentre all’epoca era solo indagato per tentata truffa. In primo grado il tribunale aveva respinto la richiesta di risarcimento ritenendo che l’articolo non avesse natura diffamatoria in quanto “gli errori in esso contenuti non avevano scalfito l’aderenza al vero della ricostruzione complessiva, ravvisando la sostanziale corrispondenza dello scritto alla realtà”. Decisione ribaltata dalla Corte di appello secondo la quale «la falsità dell’addebito non può ritenersi sfumata e assorbita dall’essere effettivamente l’appellante indagato per un altro episodio meramente tentato” ed ha così quantificato il danno non patrimoniale, utilizzando le tabelle di Milano, in euro 25mila euro, oltre a 5mila euro carico del solo giornalista.

La decisione ricorda che la Corte di legittimità in sede civile si è espressa con orientamento che appare consolidato, affermando che integra diffamazione a mezzo stampa, per l’insussistenza dell’esimente del diritto di cronaca giudiziaria, l’attribuzione ad un soggetto nell’ambito di un articolo giornalistico della falsa posizione di imputato ex art. 60 Cpp, anziché di indagato, allorché il giornalista riferisca di un’avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415 bis Cpp, non potendo detti atti reputarsi equivalenti, dal momento che quest’ultimo, a differenza del primo, non comporta esercizio dell’azione penale e risponde allo scopo di consentire all’indagato l’esercizio del diritto di difesa con la possibilità di un approfondimento delle stesse indagini. Di contro, sempre la Cassazione civile, ha ritenuto che integra un’inesattezza secondaria e marginale, insuscettibile di assumere valenza diffamatoria, la falsa attribuzione della qualità di indagato ad un soggetto che sia stato sentito come persona informata dei fatti, trattandosi di figure pur sempre afferenti alla fase delle indagini preliminari (anteriore all’esercizio dell’azione penale), e non potendosi pretendere da un giornalista l’uso tecnicamente ineccepibile dei corretti termini tecnici processuali.

La Cassazione penale ha invece affermato che non integra un’ipotesi di diffamazione la divulgazione di una notizia d’agenzia riportante l’erronea affermazione che taluno sia stato raggiunto da richiesta di rinvio a giudizio anziché da avviso di conclusione delle indagini preliminari, dal momento che, in tal caso, la divergenza costituisce una mera inesattezza su un elemento secondario, che non intacca la verità della notizia principale, secondo cui il procedimento, nella prospettiva della pubblica accusa, è approdato ad una cristallizzazione delle risultanze d’indagine funzionale alla sua progressione; al contrario , secondo la Corte non viene meno la rilevanza penale del fatto in caso di diffusione dell’erronea notizia a termini della quale una persona è stata rinviata a giudizio, implicando questo atto il positivo vaglio della prospettazione accusatoria da parte di un giudice (Cass. penale n. 15093/2020).

Per la Cassazione anche il profilo da riconoscere alla propalazione di una notizia riguardante un reato consumato, piuttosto che un reato tentato non appare divisato in maniera uniforme: invero, in sede penale si è affermato che non è irrilevante per la reputazione di un soggetto l’attribuzione di un fatto illecito diverso da quello su cui effettivamente si indaga, tale essendo — alla luce degli elementi costitutivi — la fattispecie del reato tentato, rispetto a quella del reato consumato; in sede civile la valutazione delle “imprecisioni”, al fine dell’accertamento dell’offensività tende ad esprimersi come una valutazione del loro peso sull’intero fatto narrato al fine di stabilire se siano idonee a renderlo “falso” e, oltre che tale, diffamatori.

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