Lavoro

In Gazzetta la legge sulla "Parità salariale uomo donna"

"Bollino" per le aziende in regola, sgravi fiscali e discriminazioni: tutte le novità della L. n. 162/2021

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di Francesco Machina Grifeo

Entra in vigore il prossimo 3 dicembre, la legge 5 novembre 2021 n. 162 " Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo ", pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 275 del 18 novembre.

Il provvedimento contiene una serie di modifiche e di integrazioni alla disciplina attuale. Fra le principali novità: dal 1° gennaio 2022 per le aziende viene introdotta una "certificazione della parità di genere" ed uno sgravio contributivo per chi ne è in possesso. Previsto anche un punteggio premiale per l'accesso ai fondi europei, nazionali. Cambia anche la relazione biennale alle Camere sull'applicazione della legge e si interviene sulle nozioni di discriminazione diretta e indiretta. Estesa alle aziende pubbliche e private con più di 51 dipendenti la redazione di un rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile.

Secondo i dati riportati dal Sole 24ORE il gender pay gap a livello Ue arriva a una media del 36,7% mentre in Italia siamo al 43%. La Commissione europea infatti sta lavorando ad una proposta di direttiva che se approvata metterebbe da subito fuori gioco, in quanto più stringente, la legge italiana che ha appena visto la luce. Ai dipendenti, infatti, verrebbe dato il diritto di chiedere informazioni sui livelli salariali medi divisi per genere e le aziende dovranno pubblicare tutti i dati sulle retribuzioni, senza poter chiedere quanto si guadagnava nel precedente lavoro.

Più nel dettaglio la legge 162/2021 all'articolo 1 (come chiarisce il dossier di documentazione del Senato) modifica la disciplina sulla relazione biennale alle Camere sull'applicazione della legge. La novella infatti prevede che la relazione sia presentata dal consigliere nazionale di parità, anche sulla base del rapporto annuo che il medesimo deve presentare al ministro del Lavoro e al ministro delegato per le Pari opportunità.

L'articolo 2 modifica le nozioni di discriminazione diretta e indiretta sempre in ambito lavorativo, inserendo l'ipotesi che riguardino le candidate e i candidati in fase di selezione del personale. E si specifica che la discriminazione indiretta può riguardare anche un aspetto di natura organizzativa o incidente sull'orario di lavoro. Con una revisione della norma di chiusura ora diventa discriminante ogni trattamento o modifica dell'organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell'età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ponga il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni: a) posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori; b) limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali; c) limitazione dell'accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.

L'articolo 3 opera una revisione della disciplina che richiede, per le aziende pubbliche e private che superino un determinato numero di dipendenti, la redazione di un rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile. L'obbligo viene esteso alle aziende sia pubbliche che private che abbiano tra 51 e 100 (la precedente soglia) dipendenti con una cadenza fissa biennale (si passa così da una bacino di circa 13 mila ad uno di 31 mila imprese). Sarà un decreto del Ministro del lavoro, da emanarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge, ad indicare i dati e le informazioni che necessariamente devono essere inseriti nel rapporto e le relative modalità di indicazione. L'Ispettorato nazionale del lavoro verificherà la veridicità dei rapporti aziendali, sono previste sanzioni da 1.000 e a 5.000 euro.

Articolo 4: con decorrenza dal 1° gennaio 2022 per le aziende pubbliche e private è previsto l'istituto della certificazione della parità di genere. Un Dpcm in via di emanazione definirà i criteri e le modalità attuative. Più in particolare, la certificazione - "che è intesa a ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità" - è riservata alle aziende, pubbliche e private, che, in via obbligatoria o su base volontaria, adottino i rapporti biennali. Con decreto verranno stabiliti i parametri minimi per la certificazione, con riferimento alla retribuzione, alle opportunità di carriera e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (tenuto anche conto della gravidanza).

L'articolo 5, invece, prevede, per il 2022, uno sgravio contributivo in favore delle aziende private in possesso della suddetta certificazione; l'esonero è concesso nel limite complessivo di 50 milioni di euro, nonché nel limite, per ogni azienda, di 50.000 euro annui e di un punto percentuale, con riferimento al complesso dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro.

In favore delle aziende private che, nell'anno precedente a quello di riferimento, siano in possesso della certificazione summenzionata viene poi previsto un punteggio premiale, nell'ambito della valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei, nazionali e regionali, di proposte progettuali, ai fini della concessione di aiuti di Stato.

L'articolo 6, infine, estende alle società (costituite in Italia) controllate da pubbliche amministrazioni e non quotate in mercati regolamentati le norme in materia di parità di genere previste per la composizione degli organi collegiali di amministrazione delle società quotate in mercati regolamentati. In base a tali disposizioni, lo statuto societario deve prevedere che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi e che, per i primi sei mandati successivi all'applicazione della norma, ogni genere sia rappresentato nella misura di almeno due quinti degli amministratori eletti.

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