Incapacità a contrarre con la Pa anche quando il reato avvantaggia l’impresa
La Suprema corte, sentenza n. 31607 depositata oggi, ricorda che l’articolo 32 quater oltre all’ipotesi di reati commessi “in danno” prevede anche quelli “a vantaggio”
Pronti i chiarimenti della Cassazione (sentenza n. 31607 depositata oggi) sull’articolo 32 quater del codice penale che regola i casi di incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione a seguito della condanna per alcuni reati, come per esempio il peculato, ricorrente nel caso di specie.
Il ricorrente era stato condannato per concorso, in qualità di estraneo, al peculato continuato (articoli 81, 110, 117, 314 cod. pen.) ascritto al padre della sua compagna. Quest’ultimo era stato giudicato responsabile essersi appropriato di consistenti somme di denaro, in qualità di incaricato di pubblico servizio, in quanto preposto al servizio di tesoreria gestito da una Banca di Credito per conto di alcuni comuni. L’imputato però afferma l’impossibilità di applicargli tale misura poiché il reato sarebbe stato commesso in danno di una Pubblica Amministrazione ma non di un’attività imprenditoriale
L’articolo 32-quater (Casi nei quali alla condanna consegue l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione) così recita: “Ogni condanna per i delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353, 355, 356, 416, 416-bis, ((...)) 437, 452-bis, 452-quater, 452-sexies, 452-septies, 452-quaterdecies, 501, 501-bis, 640, secondo comma, numero 1, 640-bis e 644, commessi in danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa, importa l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione”.
Per la Seconda sezione penale, dunque, il ricorrente erra proprio perché omette di considerare che la pena trova applicazione anche quando uno dei reati ivi indicati (tra cui quello di cui all’articolo 314 cod. pen. per cui è stato condannato) è stato commesso “a vantaggio di un’attività imprenditoriale” e che la sentenza di primo grado, confermata sul punto da quella impugnata, ha espressamente affermato che il peculato è stato commesso a vantaggio di un’impresa, in particolare una delle società dell’imputato.
L’aspetto non considerato dal ricorso – prosegue la decisione - riguarda, piuttosto, il fatto che il giudice di primo grado ha applicato la pena accessoria nella misura di sei anni di reclusione, che deve ritenersi, però, illegale, dal momento che l’articolo 37 cod. pen. stabilisce che in caso di mancata previsione della durata (come nel caso di specie) la pena accessoria si applica in misura pari alla durata della pena principale e quindi nel caso in esame di quattro anni e otto mesi di reclusione.
Sul punto dunque la sentenza impugnata è stata annullata senza rinvio e la misura della pena accessoria rettificata ai sensi dell’articolo 620, lett. l), cod. proc. pen.