Civile

Indebito arricchimento, le Sezioni unite chiariscono quando si può proporre l’azione

La Suprema corte, sentenza n. 33954 depositata oggi, ha accolto il ricorso di una Srl contro la decisione che aveva dichiarato inammissibile la domanda

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di Francesco Machina Grifeo

Le Sezioni unite chiariscono quando è possibile proporre l’azione di arricchimento. E lo fanno, sentenza n. 33954 depositata oggi, partendo dal dettato dell’articolo 2042 del codice civile che definisce il “carattere sussidiario dell’azione”. “L’azione di arricchimento – si legge nell’unico comma dell’articolo - non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito”.

E allora, afferma la Cassazione, “ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà, posto dall’art. 2042 c.c., la domanda di arricchimento è proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo”.

Viceversa, prosegue, “resta preclusa nel caso in cui il rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico”.

Nel caso concreto la Corte d’Appello aveva dichiarato inammissibile, per difetto di residualità, la domanda di arricchimento senza causa proposta da una Srl nei confronti di un comune per non aver reso edificabile un terreno di sua proprietà nonostante alcune opere realizzate (interramento dei cavi di alta tensione). Per la Suprema corte in tal modo ha operato “una applicazione acritica del principio di sussidiarietà”. La decisione si è infatti limitata ad affermare che il Tribunale di primo grado aveva rigettato la domanda di responsabilità precontrattuale del Comune, poiché non era stata fornita una prova idonea, salvo poi aggiungere che non era emerso che il Comune avesse assunto un impegno a mutare la destinazione dei terreni di proprietà della ricorrente. Il rigetto, dunque, prosegue la decisione, è motivato con la mancata dimostrazione della violazione dell’obbligo di buona fede da parte del Comune, il che però equivale ad un rigetto correlato all’accertamento dell’insussistenza del titolo fondante la domanda ex articolo 1337 c.c. Ne consegue che la domanda di arricchimento senza causa è proponibile.

La Cassazione chiarisce che per evitare elusioni della norma resta precluso l’esercizio dell’azione di arricchimento ove l’azione suscettibile di proposizione in via principale sia andata persa per un comportamento imputabile all’impoverito e, quindi, con riferimento ai casi di più frequente applicazione, per la prescrizione ovvero per la decadenza. Si deve distinguere infatti tra le ipotesi in cui il rigetto derivi dal riconoscimento della carenza ab origine dei presupposti fondanti la domanda cd. principale, da quelli in cui derivi dall’inerzia dell’impoverito ovvero dal mancato assolvimento di qualche onere cui la legge subordinava la difesa di un suo interesse.

Per esempio, se la domanda principale è correlata ad una pretesa scaturente da un contratto, di cui si lamenta l’esecuzione in maniera difforme da quanto pattuito, chiedendosi il ristoro del pregiudizio subito e si accerta che il contratto era affetto da nullità, lo spostamento contrattuale si palesa privo di una giusta causa e legittima quindi la proposizione, anche in via subordinata nel medesimo giudizio, dell’azione di arricchimento. Se viceversa il rigetto sia derivato dalla mancata prova da parte del contraente del danno derivante dall’altrui condotta inadempiente, la domanda di arricchimento resta preclusa in ragione della clausola di cui all’articolo 2042 c.c.

Si deve dunque distinguere in merito alle ragioni del rigetto e il giudice al quale è riproposta la domanda di arricchimento deve verificare se sia stata riscontrata una carenza originaria del diverso titolo fondante la domanda cd. principale.

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