Se l'indennità sostitutiva del preavviso incide sul Tfr
Nota a sentenza del 19 gennaio 2023 n. 1581
Con sentenza 19 gennaio 2023 n. 1581, resa nell'ambito di una controversia relativa ad un licenziamento per soppressione del posto di un dirigente bancario, la Cassazione, sezione lavoro, ha affermato il principio di diritto secondo cui l'indennità sostitutiva del mancato preavviso non entra a far parte della base di calcolo del TFR.
Nello specifico, confermando la giustificatezza di un licenziamento per ragioni oggetti (intimato con esonero dal preavviso), e quindi rigettando il ricorso principale del dirigente, la Cassazione ha invece accolto il ricorso incidentale dalla banca che lamentava la violazione dell'art. 29 comma 1 del CCNL di categoria applicabile rationae temporis: norma secondo cui "la retribuzione annua di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto è composta, oltre che dallo stipendio, da tutti gli emolumenti costitutivi del trattamento economico aventi carattere continuativo anche se con corresponsione periodica. Da tale computo restano esclusi soltanto gli emolumenti di carattere eccezionale, quanto corrisposto a titolo di effettivo rimborso, anche parziale, di spese sostenute ed i trattamenti corrisposti ai sensi dell'articolo 21 del presente contratto o, comunque, corrisposti con finalità similari al dirigente trasferito o in missione".
La Cassazione ha motivato il proprio decisum sulla base di queste considerazioni: "l'indennità di mancato preavviso non rientra nella base di computo del T.f.r. poiché essa non è dipendente dal rapporto di lavoro essendo invece riferibile ad un periodo non lavorato, una volta avvenuta la cessazione del detto rapporto (cfr. Cass. 29/11/2012 n. 21270 e 05/10/2009n. 21216). La natura obbligatoria del preavviso comporta la risoluzione immediata del rapporto, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell'esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l'efficacia sino al termine del periodo di preavviso (cfr. Cass. 04/11/2010 n. 22443, 11/06/2008 n. 15495 e 21/05/2007 n. 11740). Ne consegue che il periodo di mancato preavviso deve essere escluso dal computo delle mensilità aggiuntive, delle ferie e del TFR in quanto essendo mancato l'effettivo servizio, il lavoratore ha diritto esclusivamente alla indennità sostitutiva del preavviso ma non anche al suo calcolo per quel che qui interessa nel TFR posto che, come detto, il preavviso di licenziamento non ha efficacia reale, bensì obbligatoria, e dunque qualora una delle parti receda con effetto immediato il rapporto si risolve e residua l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva (Cass. 05/10/2009 n. 21216 e n. 17248 del 2015 )".
In sostanza, richiamando il proprio consolidato orientamento, secondo cui il preavviso non ha natura reale bensì obbligatoria, la Suprema Corte ha ritenuto che la relativa indennità sostitutiva – non essendo corrisposta a fronte della prestazione lavorativa resa, e non avendo quindi natura strictu sensu retributiva – sarebbe esclusa dal calcolo del TFR, tenuto conto della disposizione del CCNL di cui sopra (che, per vero, ricalca la nozione onnicomprensiva di retribuzione ex art. 2120 cod. civ.).
Questa motivazione consente di sollevare alcune perplessità. Infatti, pur essendo ormai diritto vivente che il preavviso ha natura obbligatoria, ciò non toglie che l'indennità sostitutiva debba corrispondere allo stesso importo che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lo prestato in servizio. In altri termini: è pacifico che, se il datore di lavoro ha esonerato il dipendente dal preavviso, esercitando legittimamente una sua facoltà, il rapporto di lavoro cessa immediatamente e permane solo una obbligazione di natura economica a suo carico. Tuttavia, escludendo la maturazione del TFR sull'indennità sostitutiva, viene negata la parità di trattamento retributivo tra i dipendenti che prestano il preavviso in servizio e quelli che, invece, ne sono esonerati.
L'esigenza di evitare una discriminazione ai danni di questi ultimi vale a fortiori se si considera che l'esonero dal preavviso viene deciso unilateralmente dal datore di lavoro: l'esercizio di tale facoltà - nella prospettazione della Corte – può tradursi in un risparmio di costi (che, nel caso di rapporto di lavoro dirigenziale, visti gli importi, possono essere notevoli) e, specularmente, in un pregiudizio patrimoniale per i lavoratori esonerati dal preavviso.
A ciò si aggiunga che la disposizione del CCNL di categoria applicabile nel caso di specie e, più in generale, la norma codicistica (art. 2120 cod. civ.) - abbracciando una nozione onnicomprensiva di retribuzione - non escludono affatto l'indennità sostitutiva del preavviso dal calcolo del tfr. Basti dire che l'art. 29 del CCNL dirigenti bancari applicabile in questo caso (art. 27 nell'attuale CCNL) include nel calcolo "tutti gli emolumenti costitutivi del trattamento economico aventi carattere continuativo", ed esclude invece "soltanto gli emolumenti di carattere eccezionale, quanto corrisposto a titolo di effettivo rimborso, anche parziale, di spese sostenute ed i trattamenti corrisposti ai sensi dell'articolo 21" (ossia i rimborsi spese di missione). Dal tenore testuale della norma ("soltanto") si evince la tassatività dei casi di esclusione e, per corollario, l'inclusione nel calcolo del TFR di tutti gli emolumenti non espressamente esclusi.
Del resto, rientrano nella nozione di retribuzione non soltanto gli importi erogati direttamente a fronte della prestazione lavorativa resa, bensì anche le ulteriori somme che sono dovute quale adempimento degli obblighi economici discendenti dal rapporto di lavoro: questo vale sia per l'indennità sostitutiva del preavviso, che per quella sostitutiva delle ferie non godute, ed anche per altri emolumenti quali il corrispettivo del patto di non concorrenza. Proprio per questo, tutte le somme in questione rientrano anche nella base di calcolo dei contributi previdenziali e assistenziali.
Fatte queste considerazioni, non sembra un caso che - sino ad oggi – mai la Suprema Corte avesse affermato il principio di cui si discute: evidentemente non erano mai insorte controversie in merito a questo aspetto, perché nella prassi applicativa – pur essendo molto frequente l'esonero dal preavviso in caso di licenziamento per ragioni oggettive – viene dato sostanzialmente per scontato che la relativa indennità includa l'incidenza del TFR.
Vedremo quindi se, in futuro, si presenteranno altri casi analoghi a quello in oggetto. Le aziende potrebbero cercare di beneficiare del nuovo orientamento, a loro favorevole, espresso dalla Cassazione con questa sentenza. Qualora dovessero insorgere altre controversie di questa natura, la questione potrebbe giustificare una rimessione alle sezioni unite.
*a cura dell'Avv. Tommaso Targa, Trifiro' & Partners - Avvocati