Civile

Indennizzo e risarcimento danni: stop rigido al cumulo

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di Filippo Martini

Lo stop al cumulo tra il risarcimento complessivo e l’indennizzo pagato dall’assicurazione, affermato dalla Cassazione a sezioni unite con la sentenza 12565/2018, prende piede anche tra i giudici di merito. Anzi: le pronunce stanno applicando il principio stabilito dalle sezioni unite in modo acritico, senza analizzare l’entità e soprattutto la funzione – spesso non omologabile – tra indennizzo e risarcimento. Una scelta che porta, in alcuni casi, a esiti paradossali. Ma andiamo con ordine.

Indennità da sottrarre

La vittima di un incidente stradale acquisisce verso il responsabile e verso il suo assicuratore il diritto a essere integralmente risarcito per tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. L’integralità del diritto al risarcimento pare oggi essere in alcuni casi limitata per il fatto che la vittima, oltre a ottenere il risarcimento per il danno ingiusto subito, può anche chiedere a un proprio assicuratore privato una somma a titolo di indennizzo, quale liquidazione di una polizza infortuni stipulata prima del sinistro stradale.

Si sostiene infatti, secondo il “principio indennitario”, che l’infortunato non può mai cumulare il risarcimento integrale e l’indennizzo a lui dovuto dall’assicuratore infortuni, ma che dalla somma del risarcimento va detratta l’indennità infortuni percepita e a lui dovuta o, viceversa, che l’indennizzo per la polizza contratta a tutela dei fatti accidentali vada ridotto in ragione di quanto già percepito a titolo di risarcimento per le lesioni subite.

Questo principio, detto anche della “compensatio lucri cum damno”, si basa sulla regola che il danneggiato non può cumulare il risarcimento integrale con l’intero indennizzo perché, così facendo, ne trarrebbe un beneficio maggiore rispetto a quanto a lui spettante per i due titoli, se azionati singolarmente. Di fatto, si troverebbe in una situazione di beneficio eccedente la reale portata del danno subito, mentre la funzione riparatoria del nostro ordinamento non consente che la vittima possa trarre giovamento (in termini di maggior compenso monetario) rispetto a quella che è la reale portata del danno subito. Questo principio, sorto recentemente all’interno della giurisprudenza di legittimità, ha ricevuto una sorta di avallo dalla sentenza 12565/2018 delle sezioni unite.

Sul piano pratico, come affermato dalla Cassazione il 27 maggio scorso (14358/2019), si giunge alla conseguenza che «nell’assicurazione contro i danni, l’indennità erogata in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dall’assicurato in conseguenza del verificarsi dell’evento dannoso soddisfa, neutralizzandola in tutto o in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo autore del fatto illecito». In sostanza, non sarebbe mai consentito il cumulo tra indennizzo da polizza infortuni e risarcimento, quanto meno nella loro entità integrale, posto che il versamento dell’uno porta a elidere nella stessa misura l’entità dell’altro, perché altrimenti la vittima otterrebbe un complessivo ristoro maggiore del dovuto dal danno subito.

L’applicazione

Sull’applicazione pratica di questa tesi si registrano in dottrina alcuni distinguo e anche delle critiche, basate per lo più sulla intangibilità dell’indennizzo al quale l’assicuratore è tenuto per contratto e sul principio della integralità del risarcimento del danno da fatto illecito.

Ma i giudici di merito si stanno allineando al principio affermato dalle sezioni unite. Così ad esempio, con la sentenza 1183 dell’8 novembre 2018, il Tribunale di Bolzano affronta un tipico caso di sinistro stradale in cui il danneggiato, dopo aver subito gravi lesioni quantificate nella misura del 13% di danno biologico, aveva percepito la somma di 7.350 euro a titolo di indennizzo su polizza infortuni. Dovendo decidere la somma a lui dovuta ora a titolo di risarcimento del danno, il tribunale, accogliendo parzialmente la domanda e applicando il principio indicato dalle sezioni unite, ha detratto dal risarcimento dovuto la somma percepita con la liquidazione della polizza infortuni.

Ha applicato lo stesso principio ma ha fatto l’operazione opposta il tribunale di Firenze che, con la sentenza 3596 del 18 dicembre 2018, ha deciso di sottrarre dalla somma dovuta all’infortunato per l’indennizzo da polizza infortuni l’ingente somma di 56.500 euro che l’assicurato aveva percepito dalla compagnia del responsabile dell’incidente, ancora una volta ribadendo che il danneggiato non può cumulare il risarcimento e l’indennizzo assicurativo in quanto il danno non deve essere fonte di lucro e la misura del risarcimento non deve superare quello dell’interesse leso o condurre a un arricchimento ingiustificato.

Di fatto, quindi, due diritti che il danneggiato avrebbe possono, in base a questo principio, finire per elidersi fra loro (in tutto o in parte) a vantaggio del responsabile del sinistro (che pagherebbe di meno in questi casi) o dell’assicuratore infortuni che potrebbe opporre una liquidazione minore di quanto contrattualmente pattuito.

Vedi la scheda: indicazioni della giurisprudenza

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