Penale

Integra il reato di dichiarazione infedele l'omessa indicazione della penale trattenuta per la mancata stipula del contratto

Nota a Corte di Cassazione, Sez. III Pen, sentenza 21 giugno 2022 n. 23837

di Paolo Comuzzi

Con la decisione 23837/2022 che qui si commenta la Corte di Cassazione conclude che l'omessa indicazione in dichiarazione della penale incamerata e trattenuta dal promittente venditore per la mancata stipula del contratto definitivo, integra il reato di dichiarazione infedele preveduto e punito dall'articolo 4 della legge penale tributaria e questo per la semplice ragione che la suddetta clausola risarcisce la parte venditrice di un mancato guadagno che avrebbe generato redditi tassabili.

Il caso portato alla attenzione della Cassazione si riassume dicendo che "… con sentenza del 05/04/2019, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza emessa il 22/06/2018 dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gozzo- che aveva dichiarato I. A. responsabile del reato di cui all'art. 4 d.lgs 74/2000 e lo aveva condannato alla pena sospesa di anni uno e mesi sei di reclusione con confisca dei beni nella disponibilità dell'imputato per un valore pari al profitto del reato - dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine al reato ascritto perché estinto per prescrizione e confermava la confisca limitatamente alla somma di denaro in sequestro, pari ad euro 241.485,02 …".

Il condannato reagiva e quindi appellava in Cassazione affermando che la decisione era da considerarsi erronea ed affermava che i giudici "….avevano confermato la valutazione del Tribunale senza determinare la natura del corrispettivo versato al ricorrente in sede di stipula del contratto preliminare e senza considerare se esso fosse qualificabile in termini di caparra confirmatoria, clausola penale o caparra penitenziale, al fine di ritenerlo reddito assoggettabile ad imposizione diretta; neppure era stato considerato che la somma era stata percepita dalla persona fisica che aveva agito nell'ambito della propria sfera privatistica e che essa, vista anche la natura del compendio immobiliare non in grado di generare plusvalenze tassabili, non costituiva reddito tassabile, non essendoci alcun incremento di ricchezza; l'imputato, quindi, avrebbe dovuto essere assolto e revocata la disposta confisca …".

La Corte di Cassazione respinge le richieste ed afferma alcuni principi certamente interessanti e dopo alcune considerazioni in merito alla adeguatezza della decisione di Appello ed al rapporto con la decisione di primo grado afferma che il giudice (in entrambi i gradi del giudizio) "… compiutamente esaminando la documentazione in atti e le pattuizioni intercorse tra le parti, aveva evidenziato che l'art. 6 del contratto preliminare di vendita concluso tra l'imputato, quale promittente venditore unitamente a I.M. T., e L. G., quale parte promissaria acquirente, prevedeva la corresponsione della somma di euro 800.000,00 quale acconto prezzo e, in caso di inadempimento, quale somma che la parte promittente venditrice avrebbe incamerato "a titolo di penale"; alla luce della giurisprudenza di legittimità richiamata in sentenza, quindi, il primo giudice aveva ritenuto che la somma di euro 800.000,00 - trattenuta dall'imputato nell'anno 2009, con missiva del 12.01.2011, quale promittente venditore, a seguito all'inadempimento del contratto preliminare da parte del promissario acquirente, - costituiva reddito imponibile a fini IRPEF e, come tale avrebbe dovuto essere oggetto della relativa dichiarazione nell'anno 2010 …".

Sempre la Corte di Cassazione afferma che la decisione (nel suo complesso) è corretta in quanto "…secondo la giurisprudenza di questa Corte la caparra confirmatoria risponde ad autonome funzioni: oltre a costituire, in generale, indizio della conclusione del contratto cui accede, incita le parti a darvi esecuzione, considerato che colui che l'ha versata potrà perdere la relativa somma e la controparte potrà essere, eventualmente, tenuta a restituire il doppio di quanto ricevuto in caso di inadempimento ad essa imputabile; può svolgere, inoltre, funzione di anticipazione del prezzo, nel caso di regolare esecuzione del contratto preliminare, costituendo, invece, un risarcimento forfetario in caso d'inadempimento di questo, poichè il suo versamento dispensa dalla prova del quantum del danno subito in caso di inadempimento della controparte, salva la facoltà di richiedere il risarcimento del maggior danno; mentre nell'ipotesi di regolare adempimento del contratto preliminare, la caparra è imputata sul prezzo dei beni oggetto dei definitivi, assoggettabili ad iva, andando ad incidere sulla relativa base imponibile e, prima ancora, ad integrare il presupposto impositivo dell'imposta, in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4, l'inadempimento ne propizia il trattenimento, che serve a risarcire il promittente venditore …".

La Corte si fa cura di dire anche che "…L'esenzione dal pagamento dell'IVA non esclude, però, che la somma trattenuta a titolo di risarcimento forfetario per l'inadempimento dell'obbligo di stipula del contratto definitivo rientri nel concetto di "reddito prodotto", perchè riferibile ad un danno forfettariamente determinato, comprensivo di un lucro cessante essendo rimasto il bene immobile nella disponibilità del percettore della caparra. E' stato, infatti, affermato che "l'inquadramento della clausola penale rientra pienamente nel disposto dell'art. 6, corna 2, del tuir, secondo il quale sono considerati redditi della stessa categoria di quelli perduti "le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di diritti", concordando la dottrina nell'affermare che, in caso di inadempimento dell'obbligazione principale, la rilevanza dell'imposizione diretta della corresponsione della penale ha per base la visione civilistica della fattispecie come essenzialmente risarcitoria"; "in seno all'incremento patrimoniale che si verifica a vantaggio della parte non inadempiente, con l'introito della penale, sono state individuate, ai fini tributari, una componente risarcitoria della perdita subita ed una componente risarcitoria del mancato guadagno; quest'ultima "è assimilata a reddito, e quindi assoggettata ad imposizione diretta, in quanto surrogatoria del mancato reddito a causa dell'inadempimento dell'altro contraente.
Per l'individuazione di tali componenti all'interno della prestazione risarcitoria si è fatto ricorso al criterio riferito all' attitudine a produrre reddito della prestazione principale rimasta ineseguita. In caso affermativo, l'introito della penale viene a sua volta considerato reddito per la parte afferente a tale mancato reddito.Ne consegue che la penale è assoggettabile ad imposizione diretta, in quanto la prestazione principale rimasta ineseguita (cessione dell'immobile) avrebbe costituito reddito ai sensi dell'art. 67, corna I, tuir. (cfr, in termini, Sez 5 n. 11307/2016 ) …".


Fatte queste considerazioni i giudici possono concludere che "…la somma incamerata dall'imputato costituiva il risarcimento della perdita di proventi che, per loro natura, avrebbero generato redditi tassabili per un soggetto privato, con il conseguimento di una plusvalenza ai sensi dell'art. 67 del tuir. Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto integrato il reato contestato …".

Per quanto mi concerne trovo che la decisione sia assolutamente corretta e del tutto logica e quindi, questa la mia conclusione, non vi siano critiche da evidenziare nei confronti della stessa.

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