Penale

Intermediazione finanziaria, esercizio abusivo anche se il prodotto è inesistente

Respinto il ricorso del promotore infedele che riteneva di non aver commesso il reato previsto dal Tuf in quanto il mancato acquisto del falso prodotto o di criptovaluta non è in grado di alterare il mercato finanziario

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di Paola Rossi

Scatta il reato di esercizio abusivo dell’intermediazione finanziaria, se il soggetto non abilitato prospetta ai clienti investimenti su criptovalute o prodotti di fatto inesistenti illustrati con documentazione contraffatta. Con la sentenza n. 29649 depositata oggi la Cassazione penale ha confermato la condanna a norma dell’articolo 166 del Testo unico della finanza per l’imputato che si appropriava del denaro consegnatogli da privati a fini di investimento in prodotti finanziari di fatto inesistenti e in criptovalute.

Il ricorrente affermava che l’inesistenza del prodotto finanziario escludesse in radice l’abuso sanzionato come reato dalla norma del Tuf, in quanto posta a tutela del corretto andamento del mercato finanziario, che appunto secondo il ricorso respinto non può realizzarsi con la vendita di prodotti finanziari inesistenti né tantomeno con il proposto acquisto di criptovaluta che è attività di cambia valute o mero strumento di pagamento.
Smentita anche la tesi che nega la natura di investimento finanziario dell’acquisto di criptovaluta, la Cassazione precisa come l’abuso riguardi qualsiasi investimento di natura finanziaria, che la giurisprudenza identifica in “ogni conferimento di una somma di denaro da parte del risparmiatore con un’aspettativa di profitto o remunerazione ovvero di utilità unita a un rischio, a fronte delle disponibilità impiegate in dato intervallo temporale, non rilevando, a tal fine, l’effettivo impiego di quanto versato dal cliente nello strumento finanziario prospettato dal promotore abusivo che costituisce un post factum estraneo alla struttura del reato in questione”. Irrilevante quindi sia l’inesistenza del prodotto che il suo mancato acquisto.

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