Penale

Intermediazione illecita di manodopera, per il reato serve uno sfruttamento effettivo del lavoratore

Lo afferma la Corte d'appello di Palermo nella sentenza n. 408/2021

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di Andrea Alberto Moramarco

Non basta la mera condizione di irregolarità del cittadino extracomunitario, accompagnata da una situazione di disagio e di bisogno di trovare una occupazione, per ritenere integrato il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, di cui all'articolo 603-bis cod. pen.. Ai fini della configurabilità di tale fattispecie, infatti, è necessario che sussista un effettivo sfruttamento del lavoratore, dimostrato da elementi quali la sua soggezione al datore di lavoro, una bassa retribuzione, la presenza di condizioni degradanti di lavoro e di alloggio. Ad affermarlo è la Corte d'appello di Palermo nella sentenza n. 408/2021.

Il caso
Al centro della vicenda c'è la storia di un cittadino del Ghana il quale, una volta ottenuto il permesso di soggiorno, abbandonava il centro di accoglienza per cercare un lavoro. L'uomo riusciva nel suo intento trovando una occupazione come pastore presso un'impresa agricola, il cui titolare, a fronte di un impegno lavorativo di 10 ore giornaliere, offriva una paga netta di 750 euro mensili più vitto e alloggio. A seguito di un controllo da parte dei Carabinieri, emergeva però che il cittadino ghanese non era regolarmente assunto e che l'alloggio in cui viveva era privo dei servizi igienici.
In seguito all'accertamento ispettivo, il datore di lavoro provvedeva a regolarizzare la posizione del suo dipendente e a corrispondere le differenze retributive. Ciò non serviva però ad evitare il processo penale e la condanna in primo grado per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, ex articolo 603-bis cod. pen.. Per il giudice di primo grado le condizioni complessive cui era sottoposto il cittadino extracomunitario erano da ritenersi indice di un vero e proprio sfruttamento.

La decisione
Di diverso avviso si è mostrata però la Corte d'appello, che ha accolto il gravame dell'imputato che contestava la sussistenza del reato a lui addebitato. Per quest'ultimo, infatti, il cittadino extracomunitario non si trovava in una situazione di bisogno, né egli stesso si trovava nella posizione di poter sfruttare il dipendente, lavorando a contatto con lui nei medesimi orari e nelle medesime condizioni. Ebbene, tale rilievo coglie nel segno e porta i giudici d'appello a ritenere non sussistenti gli elementi costitutivi necessari per la configurabilità della fattispecie. Difatti, afferma il Collegio, «a prescindere dall'evidente disagio economico del cittadino extracomunitario, legato inevitabilmente alla situazione soggettiva di immigrato e dal suo bisogno lavorare», non sono ravvisabili l'"eclatante pregiudizio" e lo stato di "rilevante soggezione del lavoratore", richiesti dalla norma per la configurabilità del reato. D'altra parte, sottolinea la Corte, le dure condizioni di lavoro, identiche tra l'altro a quelle del datore di lavoro, sono da ricondurre non ad un preteso sfruttamento bensì al tipo di mansioni svolte, ovvero pascolo e cura degli animali, mentre le condizioni dell'alloggio sono quelle tipiche di un vecchio edificio nella campagna.

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