Civile

Irragionevole durata del processo, indennizzo all’ente anche se muta il rappresentante legale

L’avvicendamento nella carica di amministratore non rileva nel riconoscimento della sofferenza pschica patita da chi governa la società come conseguenza normalmente discendente dalle lungaggini del procedimento

di Paola Rossi

L’equa riparazione del danno non patrimoniale richiesto dalla società per l’irragionevole durata del processo non può essere negato per irrilevanza del patema d’animo dell’amministratore che ha medio tempore lasciato la carica e per la flebile prospettiva dell’ottenimento del credito che ammonti a una bassissima percentuale del capitale sociale dell’ente richiedente il ristoro.

La Corte di cassazione civile ha, infatti, accolto - con la sentenza n. 24404/2025 - il ricorso di una società che si era vista rigettare la domanda di ristoro del danno non patrimoniale sulla base dei due presupposti suddetti e, invece, smentiti come rilevanti dai giudici di legittimità.

Come afferma la Cassazione, con la decisone in commento, al caso va applicato il nuovo orientamento giurisprudenziale che - in aderenza all’interpretazione della Corte dei diritti dell’uomo sull’articolo 6 della Cedu - ha riconosciuto l’autonomo diritto all’indennizzo in favore dell’ente coinvolto nel processo affetto da illegittime lungaggini. Ovviamente il presupposto della domanda di risarcimento della persona giuridica è la sofferenza psichica subita dalle persone fisiche degli amministratori o dei membri dell’ente che si considerano presupposte nel caso ricorrano le circostanze dell’”ingiusto processo” in cui sia parte l’ente. Sofferenza insita normalmente per quanto non automaticamente presunta e necessaria. E su cui non va esplicato specifico accertamento.

Per cui, conclude sul punto la Cassazione in base al proprio nuovo orientamento espresso a partire dal 2004, vanno considerate pregiudicate dall’eccessiva durata del processo le persone fisiche che ricoprono gli uffici negli enti ovvero ne sono membri. E la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che l’indennizzo sia precluso in favore delle persone giuridiche che abbiano mutato la carica dei rappresentanti legali dell’ente con conseguente violazione del principio di effettività.

Non poteva quindi la Corte d’appello escludere la sussistenza del danno non patrimoniale in capo alla società dando rilevanza alla circostanza che - nelle more del processo fallimentare per l’accertamento del credito vantato dall’ente - vi era stato un avvicendamento nella carica del proprio amministratore.

Ciò che secondo i giudici di merito escludeva di fatto la prova dell’avvenuto raggiungimento della soglia psichica del patema d’animo in capo all’amministratore uscente. Respinto - in quanto assorbito dall’accoglimento del motivo contro tale impostazione della Corte di appello - anche il rilievo sull’insussistenza del diritto vantato o sull’esiguità dello stesso rispetto alla consistenza del patrimonio sociale dell’ente.

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