Professione e Mercato

L’anzianità dell’avvocato “stabilito” non vale per il patrocinio in Cassazione

Per le S.U., sentenza n. 5306 depositata oggi, gli anni nella sezione speciale non sono cumulabili con quelli di iscrizione nell’albo ordinario ai fini della anzianità richiesta per le giurisdizioni superiori

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di Francesco Machina Grifeo

Nel computo dei dodici anni di anzianità richiesti ai fini dell’iscrizione nell’albo speciale degli avvocati cassazionisti, dalla legge n. 247 del 2012, non può essere ricompreso anche il periodo in cui il richiedente aveva svolto l’attività professionale come “avvocato stabilito”. Lo ha chiarito la Corte di cassazione con la sentenza n. 5306 depositata oggi, respingendo il ricorso del legale contro la decisione del Cnf e chiarendo che il termine inizia a decorre soltanto da quando il professionista viene “integrato”, cioè al minimo dopo 3 anni.

L’anzianità di iscrizione nella sezione speciale, dunque, non è cumulabile con l’anzianità di iscrizione nell’albo ordinario a seguito di integrazione, giacché le due iscrizioni corrispondono a diverse forme di esercizio della professione, che presuppongono titoli diversi (il titolo straniero per lo stabilito, il titolo di avvocato per l’iscritto nell’albo ordinario), senza che ne derivi violazione della direttiva 98/5/CE del Parlamento Europeo.

L’avvocato stabilito, spiegano le S.U., è tenuto a fare uso del titolo professionale di origine. Inoltre, nell’esercizio delle attività relative alla rappresentanza, assistenza e difesa nei giudizi civili, penali e amministrativi, nonché nei procedimenti disciplinari nei quali è necessaria la nomina di un difensore, l’avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato a esercitare la professione con il titolo di avvocato. L’avvocato “comunitario” che abbia esercitato in maniera effettiva e ininterrotta la professione in Italia per tre anni può chiedere al Consiglio dell’ordine la dispensa dalla prova attitudinale e, se dispensato, può iscriversi nell’albo degli avvocati ed esercitare la professione con il titolo di avvocato.

E soltanto con l’acquisizione del titolo di avvocato integrato si assiste al venir meno delle limitazioni connesse all’avere fino a quel momento operato in Italia sulla base del titolo di abilitazione acquisito all’estero e alla conseguente equiparazione a tutti gli effetti all’avvocato iscritto ex novo all’albo ordinario.

Quindi, correttamente la decisione impugnata è pervenuta alla conclusione secondo cui l’anzianità di iscrizione nella sezione speciale non è cumulabile con l’anzianità di iscrizione nell’albo ordinario a seguito di “integrazione”, proprio in virtù del fatto che le due iscrizioni corrispondono a due diverse forme di esercizio della professione, che presuppongono titoli diversi (il titolo straniero per lo stabilito, il titolo di avvocato per l’iscritto nell’albo ordinario).

Né tale interpretazione si appalesa contrastante con il diritto euro-unitario. Attribuire ex post, all’avvocato che ha esercitato ancora con il titolo acquisito nello Stato di origine, la stessa anzianità di iscrizione dell’avvocato iscritto nel relativo albo e che abbia esercitato con il titolo di avvocato, ai fini della successiva iscrizione nell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione, non è affatto richiesto dalla direttiva 98/5/CE. La direttiva infatti riguarda unicamente il diritto di stabilirsi in uno Stato membro per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro di origine.

Il legislatore europeo, con la direttiva 98/5/CE (“volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica”), ha lasciato agli Stati membri la facoltà di stabilire norme specifiche di accesso alle Corti supreme, di fatto escludendo dall’armonizzazione la disciplina dell’accesso ai più alti organi di giustizia. Conformemente a tale previsione, il legislatore italiano ha dettato delle regole specifiche per quanto riguarda l’accesso degli avvocati stabiliti al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori (art. 9 del d.lgs. n. 96 del 2001). La disciplina che ne risulta si pone in coerenza con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

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