Civile

L’atto impositivo non si può modificare durante il contenzioso

L’ordinanza 20933/2022 della Cassazione: la motivazione garantisce il diritto di difesa. Necessario un altro avviso

di Laura Ambrosi

L’ufficio non può modificare o integrare la motivazione dell’atto impositivo notificato nel corso del giudizio: la motivazione, infatti, garantisce il diritto di difesa del contribuente ed eventuali modifiche sostanziali devono essere formalizzate con un nuovo provvedimento. La precisazione arriva dalla Cassazione con l’ordinanza 20933/2022.

La vicenda trae origine da un avviso di rettifica e liquidazione notificato dall’agenzia delle Entrate a una contribuente per l’imposta di successione.

In particolare, una erede aveva presentato la voluntary disclosure dalla quale erano emerse alcune disponibilità estere del defunto.

In conseguenza, l’ufficio rettificava i valori dell’asse ereditario indicati nella dichiarazione presentata dopo la morte del contribuente.

Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario e la contribuente rilevava tra i diversi motivi la tardività, atteso che la rettifica alla denuncia di successione sarebbe stata possibile solo entro due anni dalla presentazione.

L’ufficio si difendeva rilevando che l’istanza di emersione costituiva comunque una dichiarazione di successione “anomala” dalla quale discendeva una nuova imposta da liquidare.

Entrambi i gradi di merito rigettavano le tesi della contribuente, la quale quindi, ricorreva in Cassazione, lamentando che nelle more del giudizio, l’ufficio aveva illegittimamente integrato i motivi posti a base della pretesa.

Infatti, secondo la tesi difensiva, il provvedimento impugnato si riferiva alla rettifica della dichiarazione di successione presentata in origine e non alla liquidazione degli effetti successori derivanti dalla volutary.

La Cassazione ha innanzitutto rilevato che la questione da risolvere riguardava i termini di decadenza per la rettifica di una dichiarazione di successione sulla base delle notizie contenute nella voluntary.

Tale ultima istanza non vale come dichiarazione di successione integrativa, tanto meno come atto di trasferimento, essendo volta solo a regolarizzare un profilo tributario.

In materia di imposta di successione, la norma disciplina sia la rettifica della dichiarazione infedele sia l’accertamento di quella omessa.

Tuttavia, poiché l’avviso notificato si riferiva a una rettifica rispetto all’originaria successione, era illegittima la diversa qualificazione operata solo nelle more del giudizio, secondo la quale veniva liquidata l’imposta derivante dalla voluntary disclosure.

Secondo la Cassazione, l’ufficio non può invocare una diversa ragione della pretesa qualificando differentemente l’atto impositivo.

La motivazione, infatti, assolve ad una pluralità di funzioni atteso che garantisce il diritto di difesa del contribuente delimitando l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella successiva fase processuale contenziosa. Consente inoltre al contribuente di enunciare i propri motivi di ricorso a pena di inammissibilità.

Di conseguenza l’integrazione o la modificazione dell’originario accertamento determina una nuova pretesa rispetto a quella iniziale, che va formalizzata con un nuovo atto che sostituisca il primo.

Le ragioni poste a base del provvedimento notificato segnano così i confini del processo, precludendo nel corso del giudizio la possibilità di modifica da parte dell’ufficio.

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