Penale

L'avvocato imputato di falso e truffa va interdetto dalla professione solo se c'è rischio di reiterazione

La misura cautelare temporanea è stata definitivamente annullata per il legale che contraffaceva atti esecutivi per aumentare gli onorari

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di Paola Rossi

La misura cautelare dell'interdizione temporanea dall'esercizio della professione forense non può fondarsi sulla sola circostanza che i reati sono stati realizzati sfruttando proprio la qualità di avvocato. Devono, infatti, ricorrere i sintomi del pericolo della reiterazione.

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 870/2023, ha perciò respinto il sillogismo contenuto nel ricorso della Procura secondo cui il rischio di reiterazione di un reato commesso sfruttando l'attività professionale è insito nella possibilità stessa di continuare a svolgere lecitamente la professione stessa.
Argomento considerato non dirimente in quanto non è il contesto in cui si è realizzato il reato a giustificare la misura cautelare dell'interdizione temporanea, ma l'accertamento sintomatico del pericolo di reiterazione del reato.

La CassaZione con una breve sentenza e un giudizio tranciante afferma che nel caso specifico tali sintomi di pericolo non sussistono in quanto i fatti per cui vi è processo sono risalenti nel tempo e l'avvocato - imputato per due truffe ai danni del Fisco e per falso in atto pubblico - risultava incensurato.

Obiettivamente si fa notare il motivo di ricorso dove il procuratore non solo sottolinea la contiguità tra la professione forense e i reati commessi, ma anche la circostanza che siano stati rinvenuti diversi atti esecutivi non firmati all'interno dello studio legale.

In effetti la vicenda contestata in sede penale riguardava la falsificazione di un'ordinanza del giudice dell'esecuzione di assegnazione somme da parte delle Entrate/Riscossione realizzata facendo apparire un importo inferiore al fine di realizzare una seconda pratica legale "per un nuovo credito" su cui ottenere il pagamento dell'onorario ulteriore.

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