Lavoro

L’equo indennizzo per causa di servizio apre la strada al risarcimento del danno

Per la Cassazione, sentenza 10043 depositata oggi, l’autonomia dei due istituti non esclude una vasta area di coincidenza del nesso causale della patologia

di Francesco Machina Grifeo

Il riconoscimento dell’equo indennizzo per la malattia dovuta a causa di servizio (se ritenuto utilizzabile dal giudice di merito) determina l’inversione dell’onere della prova prevista dall’articolo 2087 c.c. (Tutela delle condizioni di lavoro), di modo che grava sul datore di lavoro, e non più sul dipendente, la dimostrazione di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi dell’evento dannoso. L’autonomia dei due istituti - equo indennizzo e risarcimento del danno procurato da malattia professionale -, infatti, non esclude che si possa realizzare una vasta area di coincidenza del nesso causale della patologia, sia ai fini dell’equo indennizzo che della malattia. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza 10043 depositata oggi, accogliendo sotto questo profilo il ricorso di un dipendente di una Asl calabrese.

Il lavoratore deduceva di aver contratto il virus dell’epatite C dopo essersi accidentalmente punto il tallone destro con una siringa che, insieme ad altro materiale sanitario, era stata lasciata a terra in un sacchetto di plastica, lungo un corridoio dell’ospedale di Castrovillari dove prestava servizio. La riconducibilità a causa di servizio era stata riconosciuta dalla Commissione medica e dal Comitato di Verifica. La Corte di appello invece aveva ritenuto la domanda infondata, “non essendo stata fornita adeguata prova del fatto materiale da cui, secondo la ricostruzione attorea, sarebbe derivato il danno”.

La Suprema corte premette che, nel rito del lavoro, la necessità di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa “si traduce in una maggiore pregnanza del dovere del giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito”. Quindi, “pur restando immutate le regole generali di distribuzione degli oneri probatori, la presenza di elementi idonei a costituire «piste probatorie» determina il potere-dovere del giudice di procedere sia agli opportuni approfondimenti sia ad una valutazione complessiva del quadro probatorio la quale può sfociare in un giudizio conclusivo di totale carenza probatoria solo qualora, all’esito di un vaglio complessivo dell’insieme degli elementi disponibili, risulti l’assoluta inconsistenza del contributo probatorio di questi ultimi”.

Nella decisione odierna invece la Corte territoriale ha radicalmente trascurato la circostanza, del giudizio favorevole alla causa di servizio sia della Commissione medica che del Comitato di verifica. In tal modo omettendo di conformarsi ai precedenti che hanno reiteratamente evidenziato i potenziali riflessi che l’accertamento (positivo) svolto in sede di riconoscimento dell’equo indennizzo può avere sulla ripartizione degli oneri probatori nell’ambito della responsabilità ex articolo 2087 c.c..

Ancora recentemente, infatti, in tema di risarcimento del danno alla salute conseguente all’attività lavorativa, si è affermato che “il nesso causale rilevante ai fini del riconoscimento dell’equo indennizzo per la causa di servizio è identico a quello da provare ai fini della condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno, quando si faccia riferimento alla medesima prestazione lavorativa e al medesimo evento dannoso, con la conseguenza che, una volta provato il predetto nesso causale, grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi dell’evento dannoso”.

Del resto, le S.U. (19129/2023) hanno chiarito che nel giudizio risarcitorio promosso nei confronti del Ministero della Salute per i danni derivanti dalla trasfusione di sangue infetto, il provvedimento amministrativo di riconoscimento del diritto all’indennizzo (ai sensi della legge n. 210/1992) costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale, salve contrarie specifiche allegazioni e prove da parte del Ministero convenuto.

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