L’ergastolo ostativo non blocca lo sconto dei giorni come riparazione per la detenzione in carceri sovraffollate
Anche chi sta scontando l’ergastolo per delitti ostativi, se ha subito un periodo di detenzione in condizioni inumane, ha il diritto di scegliere come riparazione lo sconto dei giorni e non é obbligato a optare per il rimedio economico. La Corte di cassazione, con la sentenza 41649 del 10 ottobre scorso, ricorda che il concetto di pena perpetua é ormai eroso dal tempo, anche per quanto riguarda il carcere ostativo sulla cui non immutabilità sono più volte intervenute sia la Consulta, sia la Corte di Strasburgo che, nel caso Viola, ha condannato l’Italia.
Partendo dunque dalla negazione della perpetuità della pena - contraria alla sua finalità rieducativa - i giudici della Prima sezione penale hanno affermato l’interesse del ricorrente a opporsi alla decisione del tribunale di sorveglianza che, proprio in considerazione dell’ergastolo, gli aveva negato la possibilità di scelta tra la riparazione pecuniaria e lo sconto di pena per i 312 giorni che aveva trascorso in condizioni inumane e degradanti. Un “indennizzo” introdotto con l’articolo 35-ter della legge 354/1975, dopo la sentenza Torreggiani con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per il sovraffollamento delle carceri. La norma prevede una riparazione in forma specifica, ovvero lo sconto di pena di un giorno per ogni dieci trascorsi in condizioni inumane, o un indennizzo in denaro.
Secondo la sentenza impugnata la via obbligata del ricorrente, in considerazione dell’ergastolo, era il ristoro economico. Una decisione che non convince la Cassazione che, pur in assenza di una norma specifica sul punto, afferma che la riparazione in questione non è un beneficio premiale ma una tutela piena per la lesione del diritto a un trattamento conforme al senso di umanità. E la possibilità di decidere per lo sconto dei giorni non può essere negata a chi è all’ergastolo ostativo anche se non collabora con la giustizia.
I giudici ricordano infatti che la collaborazione non è sottoposta a limiti temporali e la decisione di “pentirsi” può essere maturata anche nel corso del tempo. Come durante il trattamento può essere riconosciuta anche l’impossibilità della collaborazione o la sua “inutilità”. Condizioni che aprono la strada ai benefici, compresa la liberazione condizionale. E in tal caso si potranno decurtare i giorni riconosciuti. La Cassazione quindi annulla la pronuncia e rinvia al tribunale di sorveglianza perché riveda il suo verdetto.
Cassazione, sentenza 41649 del 10 ottobre 2019