L’indebito arricchimento della Pa è provato dal dato oggettivo della prestazione resa
Soltanto il caso dell’arricchimento imposto esclude la remunerazione di lavori svolti dal privato e la loro eventuale non corretta esecuzione può solo incidere negativamente sulle somme dovute
In materia di onere probatorio relativo all’azione generale di arricchimento prevista dall’articolo 2041 del Codice civile e promossa contro la pubblica amministrazione la Corte di cassazione - con la sentenza n. 27753/2024 - ha affermato che chi agisce per l’indennizzo o la restituzione della cosa non deve provare l’utilitas conseguita dall’arricchito o sottostare al riconoscimento della sua sussistenza da parte del soggetto pubblico, ma deve solo dimostrare il proprio depauperamento. Infatti, la pubblica amministrazione a fronte dell’oggettiva prestazione ricevuta non è tenuta ad alcuna restituzione solo se dimostra che l’arricchimento conseguito gli è stato imposto per sua inconsapevolezza o perché da essa non voluto.
Il caso concreto
Nel caso si trattava di prestazioni per la realizzazione di lavori in un cantiere comunale e di cui l’ente locale contestava tanto l’affidamento quanto il vantaggio conseguito.
In effetti, dal punto di vista soggettivo, il Comune riteneva di non aver mai intrattenuto rapporti contrattuali con la società ricorrente bensì con la ditta individuale di cui era titolare il rappresentante legale della società stessa. Inoltre, dal punto di vista oggettivo l’ente locale contestava di aver conseguito qualsiasi vantaggio dalle prestazioni asseritamente svolte dal soggetto privato, in quanto i lavori erano stati bloccati dalla chiusura del cantiere su iniziativa della procura locale e la ditta era stata richiesta di eliminare i calcinacci interrati nell’area sequestrata.
Il principio di diritto
Il giudice di merito aveva dato ragione al Comune che si era opposto all’ingiunzione di remunerare la società subentrata alla ditta individuale nei lavori del cantiere affermando che l’ente aveva disconosciuto di aver ricevuto un vantaggio patrimoniale dall’attività della ricorrente. Ma ciò non è un presupposto per l’accoglimento della domanda giudiziale contro l’indebito arricchimento della pubblica amministrazione. Da cui l’annullamento della decisione e il rinvio a diverso giudice che dovrà verificare l’effettivo depauperamento del privato e la circostanza che si sia eventualmente trattato di “arricchimento imposto”.
Sul punto la Cassazione nell’operare il rinvio ha espresso il principio di diritto cui dovrà attenersi il giudice d’appello: “in caso di esercizio dell’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti di una Pubblica Amministrazione, è irrilevante, di per sé sola considerata, l’utilità della prestazione espletata, sicché, eccepitane la carenza da parte della convenuta, l’attore non è onerato dal dover provare la sua sussistenza”.
Le motivazioni della decisione
Una volta che sia stato provato il proprio depauperamento - e il contestuale arricchimento della pubblica amministrazione - da parte di chi agisce a norma dell’articolo 2041 del Cc, la domanda va accolta con il solo “limite del divieto di arricchimento imposto”. Questo perché - come afferma la decisione di legittimità - “il diritto fondamentale di azione del depauperato deve adeguatamente coniugarsi con l’esigenza, altrettanto fondamentale, del buon andamento dell’attività amministrativa, affidando alla stessa pubblica amministrazione l’onere di eccepire e provare il rifiuto dell’arricchimento o l’impossibilità del rifiuto per la sua inconsapevolezza”.
Quindi, non solo l’impoverito non deve provare alcuna utilità della Pa in cui favore ha eseguito le sue prestazioni, ma neppure ha l’onere di dimostrare la regolarità della loro esecuzione quando è pacifico esse siano state rese. L’eventuale scorretta esecuzione rileva, invece, ai fini della riduzione dell’entità stessa dell’arricchimento.
Di fatto, la Cassazione con la sua pronuncia oblitera un pregresso prevalente orientamento che condizionava l’accoglimento dell’azione “di ingiustificato arricchimento” al riconoscimento dell’utilitas da parte della pubblica amministrazione, ossia a fronte di una valutazione soggettiva della stessa Pa.
Il diverso orientamento applicato nel caso concreto discende dal precedente nomofilattico espresso dalle sezioni Unite civili nel 2015 che “hanno posto l’accento sulla connotazione invece strettamente oggettiva dell’arricchimento che il depauperato deve provare, senza che l’amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso”.