Penale

L'introduzione del delitto di contrabbando quale reato presupposto del D.lgs. 231/2001

di a cura dell'avvocato Fabrizio Ventimiglia e della Dott.ssa Laura Acutis, Studio legale Ventimiglia


Con l'introduzione del Decreto Legislativo 14 luglio 2020, n. 75, che dà attuazione alla c.d. Direttiva PIF "relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione Europea mediante il diritto penale", il contrabbando viene inserito nel novero dei reati presupposto previsti dal D.lgs. n. 231/2001.
Nello specifico, con l'art. 25-sexiesdecies del D.lgs. n. 231/2001 rubricato "contrabbando", vengono ricriminalizzate talune condotte di contrabbando depenalizzate dal D.lgs. n. 8/2016.
Nel febbraio 2016, infatti, il delitto di contrabbando – come tutte le fattispecie penalmente rilevanti punite con la sola sanzione pecuniaria – era stato depenalizzato, divenendo, pertanto, un illecito amministrativo. Non erano stati interessati dalla depenalizzazione i delitti di contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-bis) e di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater) e il contrabbando aggravato di cui all'art. 295 co. 2, in quanto puniti, oltre che con pena pecuniaria, anche con la pena della reclusione.
Il nuovo articolo 25-sexiesdecies, modulando la sanzione a seconda che il reato ecceda o meno la soglia di 100.000 euro, oltre la quale la lesione degli interessi finanziari dell'UE deve ritenersi considerevole, consente di imputare all'ente i reati di contrabbando previsti dal d.p.r. n. 43 del 1973. La sanzione pecuniaria prevista è di 200 quote (aumentata a 400 quote nel caso in cui l'ammontare dei diritti di confine dovuti superino i 100.000 euro), ferma restando l'applicazione delle sanzioni interditive previste dall'art. 9, co. 2, lett. c), d), e) .
Ciò premesso, allo scopo di meglio comprendere le conseguenze di tale introduzione normativa, può essere utile offrire un breve inquadramento in materia di diritto doganale, regolato dal d.p.r. n. 43 del 1973, noto come Testo Unico Doganale.
Come noto, l'oggetto di tutela del T.U. è rappresentato dal corretto assolvimento dei dazi doganali, ossia imposte indirette applicate sul valore di prodotti e merci che circolano da uno Stato ad un altro o da un gruppo di Stati ad un altro. I dazi si configurano quali imposte che gravano sui consumi e vengono, in genere, riscossi alla dogana, organismo pubblico incaricato di esercitare il controllo sulle merci. È evidente come tali imposte rappresentino una risorsa propria dell'Unione Europea e confluiscano – quasi interamente – nel bilancio unitario.
Ed è nel Testo Unico Doganale che viene anche prevista, tra le altre, la fattispecie di contrabbandando, che punisce "la condotta di chi introduce nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni in materia doganale, merci che sono sottoposte ai diritti di confine". Come rilevabile dall'art. 34 del T.U., si considerano "diritti di confine": i dazi di importazione e quelli di esportazione; i prelievi e le altre imposizioni all'importazione o all'esportazione i prelievi e le altre imposizioni all'importazione o all'esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione ed inoltre, per quanto concerne le merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato. Per le merci soggette a diritti di confine, l'art. 36 del citato T.U. sancisce che "il presupposto dell'obbligazione tributaria è costituito, relativamente alle merci estere, dalla loro destinazione al consumo entro il territorio doganale e, relativamente alle merci nazionali e nazionalizzate, dalla loro destinazione al consumo fuori del territorio stesso".
Così brevemente ricostruito il quadro normativo oggetto dell'intervento legislativo, occorre interrogarsi sull'impatto, anche da un punto di vista pratico, di tale riforma su prassi e policy aziendali.
Un primo aspetto rilevante in tema di compliance preventiva sarà rappresentato dal rapporto tra l'ente e lo spedizioniere doganale, ossia colui che, in nome e per conto del proprietario delle merci, svolge le formalità doganali nello scambio internazionale delle stesse. La figura dello spedizioniere doganale è di assoluta importanza, trattandosi di colui che supporta l'esportatore o l'importatore di merci nell'espletamento delle formalità doganali (ad es. richiesta dei documenti specifici e autorizzazioni necessarie a garantire un regolare scambio internazionale di merci).
Infine, rilevante sarà l'analisi del combinato disposto tra l'art. 10 L. 146/2006 – "Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001 – e il nuovo art. 25-sexiesdecies D.lgs. 231/2001.
Il citato art. 10 L. 146/2006 già prevede la responsabilità dell'ente per il delitto transnazionale di cui all'art. 291-quater del Testo Unico Doganale nell'ipotesi di contestazione della fattispecie di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri. A seguito dell'introduzione dell'art. 25-sexiesdecies D.lgs. 231/2001 si desume che lo stesso reato potrà essere imputato all'ente a prescindere dalla sua connotazione internazionale, tuttavia con una cornice sanzionatoria assai meno gravosa.
1 - Art. 25-sexiesdecies D.lgs. 231/2001 "In relazione alla commissione dei reati previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, si applica all'ente la sanzione pecuniaria fino a duecento quote.
Quando i diritti di confine dovuti superano centomila euro si applica all'ente la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.
Nei casi previsti dai commi 1 e 2 si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e)".
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