Lavoro

L'obbligo contributivo è autonomo rispetto alla retribuzione effettivamente corrisposta

La Sezione lavoro della Cassazione con la sentenza n. 442/2021 fa il punto sull'obbligo per i contratti a termine

di Andrea Alberto Moramarco

Se il datore di lavoro assume con contratto part time un numero di lavoratori superiore alla percentuale sul totale dei lavoratori a tempo pieno, come fissata dalla contrattazione collettiva, l'obbligo contributivo deve essere parametrato sulla retribuzione imponibile per l'orario di lavoro normale previsto per i lavoratori a tempo pieno. Ad affermarlo è la Sezione lavoro della Cassazione con la sentenza n. 442/2021, con la quale i giudici di legittimità fanno il punto sull'obbligo di contribuzione per i contratti a termine.

La vicenda
Il caso riguarda un imprenditore edile, il quale aveva stipulato quattro contratti di lavoro a tempo parziale superando il limite percentuale stabilito dalla contrattazione collettiva (3% sul totale dei contratti a tempo pieno). A seguito di accertamento, l'Inps chiedeva all'imprenditore di corrispondere le maggiori contribuzioni dovute, invocando cioè la retribuzione «virtuale» prevista per i lavoratori a tempo pieno anche nei confronti dei dipendenti assunti con contratto part time. Rimessa la questione all'autorità giudiziaria, in entrambi i gradi di giudizio i giudici bocciavano l'interpretazione dell'ente previdenziale, affermando che la mera inosservanza della percentuale di contratti a termine stipulabili rispetto al totale di contratti a tempo indeterminato non era in grado di produrre l'effetto della conversione del singolo contratto part time in uno a tempo pieno.
La questione veniva così riproposta in Cassazione dall'Inps, che sottolineava come la sua pretesa fosse relativa al solo obbligo contributivo e non anche al rilievo della validità o meno del contratto a tempo. L'ente di previdenza chiedeva cioè la corretta interpretazione dell'articolo 29 del Dl 244/1995 e della norma della contrattazione collettiva, che sanciscono il divieto di superare un certo limite nella stipulazione di contratti part time, nonché la corretta individuazione delle conseguenze di tipo contributivo in caso di violazione di tale divieto.

La decisione
La Suprema corte ritiene fondato il motivo di ricorso e attraverso una complessa motivazione spiega la disciplina applicabile a casi come quello di specie. In particolare, il Collegio sottolinea l'autonomia del rapporto contributivo rispetto all'obbligazione retributiva, in virtù del quale l'obbligo contributivo può essere parametrato rispetto ad un importo superiore a quello effettivamente corrisposto dal datore di lavoro; nonché evidenzia la necessità di rispettare il cosiddetto «minimale contributivo», ovvero l'importo di quella retribuzione che ai lavorati di un determinato settore dovrebbe essere corrisposta in virtù dei contratti collettivi.
Ciò posto, i giudici di legittimità ritengono che il su citato articolo 29 imponga al datore di lavoro di assolvere la contribuzione previdenziale su una retribuzione commisurata al numero di ore settimanali non inferiori all'orario normale di lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva. Tale norma incide però solo sulla «misura della retribuzione-parametro a fini contributivi», non costituendo altresì «una vera e propria fonte di obbligazione retributiva autonoma».
In altri termini, chiarisce meglio la Cassazione, «la retribuzione che il lavoratore riceve o comunque ha diritto di ricevere in dipendenza del rapporto di lavoro costituisce pur sempre il presupposto indefettibile per confermarne, se necessario, la misura ai minimali, e l'effetto della disposizione legislativa consiste precisamente nell'elevarla, se inferiore, fino al raggiungimento del minimale contributivo, sia pure ai soli fini previdenziali».

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