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L’ultima frontiera della privacy: i nostri pensieri

L’affermazione delle nuove tecnologie ha dimostrato che c’è bisogno di una innovativa e aggiornata generazione di diritti per affrontare sfide inedite: in sostanza, abbiamo bisogno di ciò che alcuni chiamano «neurodiritti». Una riflessione sulla tutela del diritto alla privacy “cognitiva”

INTRODUZIONE 

(di Nicoletta F. Prandi)

Non avevamo bisogno del diritto all’oblio finché non è stato inventato Google. Fino a oggi nessun sistema giuridico ha protetto il diritto alla privacy cognitiva, perché finora si è sempre dato per scontato che fosse impossibile che quei diritti – coincidenti con il nostro spazio mentale – venissero violati. Quel presupposto è ora smentito dai progressi raggiunti in campo neurotecnologico e dalle applicazioni già vendute sul mercato consumer (oltre 40 sul mercato italiano).

Oggi è possibile comunicare con il pensiero, hackerare il cervello per rubare dati sensibili come PIN e password (è stato fatto sfruttando i videogiochi, nell’inconsapevolezza dei giocatori), impiantare sogni e messaggi pubblicitari. In Cile si è già celebrato il primo processo al mondo per furto di dati cerebrali, l’ONU è al lavoro per definire un framework di regolamentazione condiviso a livello mondiale, mentre l’Unione Europea arranca tra prime regolamentazioni e dichiarazioni d’intenti.

In questo articolo Harry Lambert spiega in che modo la neurotecnologia intrecci la pratica legale più di quanto si creda, facendo esempi concreti che sembrano usciti dalla fantascienza.
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L’ULTIMA FRONTIERA DELLA PRIVACY: I NOSTRI PENSIERI 

(di Harry Lambert)

Prendete in considerazione l’elenco seguente. Ogni voce rappresenta una potenziale applicazione del monitoraggio, della raccolta e dell’analisi dei dati sulle onde cerebrali provenienti da EEG (elettroencefalogramma).

Quali di queste capacità neurotecnologiche credete siano

a) possibili nel prossimo futuro b) possibili a lungo termine c) impossibili?
In ordine di radicalità dell’impatto e/o di componente distopica – possiamo usare questa espressione – ecco la lista.

1. Prevedere l’insorgenza di malattie neurodegenerative

2. Monitorare i livelli di affaticamento

3. Monitorare i livelli attenzione

4. Comunicare silenziosamente attraverso il pensiero

5. Accertare l’orientamento politico di una persona, le sue credenze religiose e i suoi sentimenti

6. Impiantare sogni e messaggi pubblicitari

7. Scansionare la memoria per vedere se si è commesso un reato

8. Leggere i pensieri e tradurli in testo o in immagini

9. Hackerare il cervello per rubare codici PIN e password

10. Intraprendere una «guerra cognitiva»

La verità è che tutte e dieci sono non solo possibili a livello teorico, ma addirittura pratico.
Se non ci credete, ecco le ragioni.

1. PREVEDERE L’INSORGENZA DI MALATTIE NEURODEGENERATIVE

L’idea non è nuova. La tecnologia di base attinge a ricerche risalenti almeno al 2018. Ad aprire la strada è stata la Corea del Sud. Una delle sue aziende più importanti, iMediSync, con sede a Seoul, sta introducendo un «nuovo paradigma» nella gestione dei disturbi neuropsichiatrici. Il suo iSyncWave promette oltre il 90% di accuratezza nella diagnosi di condizioni degenerative, come l’Alzheimer e il Parkinson, usando solo un casco e un iPad e spendendo al massimo dieci minuti. Impiega l’intelligenza artificiale per riconoscere i biomarcatori indici di malattie degenerative, ad esempio il rallentamento delle onde Alpha, prodromo di un declino cognitivo. Nuovi biomarcatori neurali sono scoperti di continuo. Negli Stati Uniti iSyncWave ha ottenuto l’approvazione della FDA ed è in dirittura d’arrivo, entro fine, anno quella CE. In Corea del Sud, i prodotti di iMediSync sono già utilizzati da oltre 60 enti nazionali.

2. MONITORARE I LIVELLI DI AFFATICAMENTO

Rilevare l’affaticamento attraverso le onde cerebrali è abbastanza semplice, perché quelle che lo identificano sono piuttosto caratteristiche. La Cina è stata in prima linea nella ricerca (si veda, ad esempio, «Classifying driving fatigue by using EEG signals» (marzo 2022) di Zeng e altri autori): infatti, sulla linea ferroviaria ad alta velocità Pechino-Shanghai, i conducenti sono ora dotati di dispositivi EEG per monitorare la fatica in tempo reale e assicurare, così, la prontezza dei riflessi. SmartCap Technologies descrive il suo prodotto omonimo come un “salva-vita che consente agli autisti e agli operatori di macchinari di gestire la propria fatica. Abilitando il monitoraggio, sia al lavoro sia in ambienti esterni, SmartCap garantisce che le persone tornino a casa in sicurezza ogni giorno”.

3. MONITORARE I LIVELLI DI ATTENZIONE

Nell’illuminante libro di Nita Farahany The Battle for your Brain (2023), a cui questo articolo deve molto, l’autrice racconta come alcuni studenti delle scuole elementari, nel mondo (N. Farahany si riferisce alla Cina (nda).), vengano collegati a monitor EEG che inviano dati a insegnanti e genitori. Le luci sulla parte anteriore dei dispositivi lampeggiano con colori corrispondenti al livello di attenzione effettiva dello studente. Farahany racconta: «gli insegnanti che supervisionano il programma ritengono che il monitoraggio cerebrale migliori notevolmente il coinvolgimento dei loro studenti».

4. COMUNICARE SILENZIOSAMENTE ATTRAVERSO IL PENSIERO

La comunicazione tra cervelli – telepatia, a tutti gli effetti – si è già realizzata in laboratorio. Una pietra miliare è stato BrainNet, un esperimento condotto dagli scienziati della Paul G. Allen School of Computer Science & Engineering e dal Co-direttore del Center for Neurotechnology dell’Università di Washington. Lo studio ha coinvolto alcuni partecipanti nel gioco anni ’90 Tetris. Ognuno di loro sedeva in una stanza diversa e non potevano né vedersi né ascoltarsi. Il «mittente» poteva vedere lo schermo intero e capire se una figura dovesse essere ruotata o no, per incastrarsi correttamente nello spazio. Il «ricevitore» poteva vedere la forma ma non lo spazio in cui sarebbe caduta. Il pensiero del mittente era trasmesso via Internet al cervello del ricevente, attraverso un’interfaccia cervello-computer. Una volta ricevuto il pensiero del mittente, il ricevente usava l’interfaccia cervello-computer, basata su EEG, per eseguire l’azione pensata dal mittente. Gli autori hanno concluso che «i risultati indicano la strada verso future interfacce cervello-cervello, che abilitano alla risoluzione cooperativa dei problemi da parte degli esseri umani utilizzando un network di cervelli connessi».

5. ACCERTARE L’ORIENTAMENTO POLITICO DI UNA PERSONA, LE SUE CREDENZE RELIGIOSE E I SUOI SENTIMENTI

In Neural markers of religious conviction (marzo 2009), Inzlicht e altri affermano di poter «dimostrare che la convinzione religiosa è caratterizzata da una ridotta reattività nella corteccia cingolata anteriore (ACC), un sistema corticale coinvolto nella percezione dell’ansia e importante per l’auto-limitazione». E questo è solo l’inizio. Riconoscere i tratti distintivi, a livello neurale, di qualcosa che sappiamo esistere (il credo religioso) è una cosa. Ma non è nulla in confronto all’uso dei neurodati per prevedere il comportamento degli elettori o anche solo accertare la conformità ai valori di un partito. In uno studio del 2021 sugli elettori che avevano partecipato alle elezioni del Parlamento europeo del 2019, le onde cerebrali dei partecipanti sono state misurate in contemporanea con l’analisi delle loro opinioni su questioni politiche controverse. I dati ottenuti potrebbero generare previsioni sul comportamento di voto molto più accurate rispetto ai sondaggi tradizionali. Con la tecnologia esistente, non sarebbe per niente difficile usare l’EEG o una combinazione di EEG, risonanza magnetica e/o EMG (elettromiografia) per valutare le reazioni emotive e intellettuali ai programmi politici. Il Grande Fratello può letteralmente controllare se qualcuno è d’accordo con lui, il che è piuttosto terrificante.

A livello di sentimenti e affettività, poi, «la scienza sta iniziando a svelare le basi neurali dell’amore romantico». Non sono parole mie, ma quelle di Sandra JE Langeslag nel meraviglioso Electrophysiological correlates of romantic love: a review of EEG and ERP studies with beloved-related stimuli (maggio 2022). La ricerca di Langeslag si basa su precedenti lavori con scanner per risonanza magnetica funzionale (fMRI), attraverso cui l’amore può essere «guardato» e distinto dalla semplice infatuazione o dal godimento. Incontrare i genitori diventerà sempre più imbarazzante.

6. IMPIANTARE SOGNI E MESSAGGI PUBBLICITARI

Nel 2021 il birrificio americano Coors ha avviato una nuova campagna di marketing, progettata per far letteralmente sognare le persone sulla propria birra. Sì, è successo davvero: la chiamano «incubazione mirata dei sogni» (TDI, Targeted Dream Incubation). Coors ha chiesto ai partecipanti di guardare un breve video prima di andare a letto e, poi, di esporsi a un «paesaggio sonoro» mentre dormivano. La dottoressa Deirdre Barrett, a capo del progetto per Coors, ha rivelato di essersi occupata di come «sviluppare metodi per influenzare i sogni, in passato. Lavorare con gli artisti del Coors Dream Project, però, è stata un’opportunità inedita per creare stimoli audio e video capaci di innescare, negli spettatori, specifici contenuti onirici... Abbiamo visto i risultati prendere vita, nella sperimentazione del Dream Lab, quando i partecipanti hanno iniziato a riferire di esperienze oniriche simili, tra cui ruscelli rinfrescanti, montagne, cascate e persino la stessa Coors». Altre aziende, tra cui Xbox e Burger King, hanno lanciato iniziative simili. Sebbene la TDI sia ancora agli inizi, è così avanzata che, nel 2021, un gruppo di 40 importanti ricercatori hanno scritto una lettera aperta per mettere in guardia dai pericoli della TDI, descrivendola come “un assalto aziendale al nostro stesso senso di identità” e concludendo la missiva con la seguente chiamata alle armi: «Siamo profondamente preoccupati per i piani di marketing che mirano a generare profitti a costo di interferire con la nostra naturale elaborazione della memoria notturna. La scienza del cervello ha contribuito a progettare diverse tecnologie che creano dipendenza, dai cellulari ai social media, che ora plasmano gran parte della nostra vita da svegli; non vogliamo che accada lo stesso durante il sonno. Riteniamo che siano urgentemente necessarie azioni proattive e nuove politiche di protezione, per impedire agli inserzionisti di manipolare uno degli ultimi rifugi delle nostre menti coscienti e inconsce già assediate: i nostri sogni». Non si tratta solo dei nostri sogni. I ricercatori hanno già coniato il termine «neuromarketing». Un recente articolo afferma: «è evidente che le tecnologie di neuromarketing basate sull’EEG possano aiutare i marchi e le aziende a prevedere con precisione le preferenze future dei consumatori. Pertanto, aprirà la strada alla creazione di un sistema di supporto al marketing intelligente per le applicazioni di neuromarketing del futuro» (settembre 2022), Mashrur e altri). Naturalmente, i riferimenti a «previsione» possono essere letti anche come riferimenti a «manipolazione». La previsione non è un processo passivo. È un tentativo di capire cosa ci fa «cliccare» (in senso letterale, quando siamo online) e di assicurare che la pubblicità stimoli i neuroni giusti e susciti le emozioni giuste, così da massimizzare le possibilità di una vendita. Nel frattempo, L’Oreal ha collaborato con l’azienda neurotech Emotiv per adattare le fragranze al cervello e alle nostre emozioni. Tenete d’occhio questo mercato.

7. SCANSIONARE LA MEMORIA PER VEDERE SE SI È COMMESSO UN REATO

Nel 2021, la polizia di Dubai ha utilizzato potenziali correlati cerebrali legati ad alcuni eventi per «decifrare» un caso di omicidio irrisolto. Sulla base del fatto che l’onda P300 si comporterà in modi diversi (ad esempio, in termini di ampiezza) a seconda che un soggetto riconosca qualcosa, anziché visualizzarla per la prima volta, la polizia ha sottoposto un sospettato al monitoraggio delle onde cerebrali e lo ha confrontato con l’arma del delitto. Il sospettato ha “riconosciuto” l’arma del delitto e in seguito ha confessato, fornendo dettagli che solo il vero colpevole avrebbe potuto conoscere. Una tecnica simile è stata utilizzata per ottenere la condanna (e la pena di morte) nel caso di James Grinder nella contea di Macon, negli Stati Uniti. In effetti, le polizie di India e Singapore hanno entrambe utilizzato la tecnologia dell’«impronta cerebrale» per diverso tempo.

Il fattore limitante non è la tecnologia, ma la volontà del sospettato di sottoporsi al test. È probabile che tali dati finiscano con l’insinuarsi in modo subdolo nelle indagini della polizia, nello stesso modo in cui i dati Fitbit sono stati utilizzati negli Stati Uniti (ad esempio, corroborando l’affermazione di un sospettato di aver dormito, vedere N. Farahany, pag. 83).

Se la capacità di «verificare» alla lettera il fatto che qualcuno abbia commesso un reato escluda il privilegio di non autoincriminarsi, è un aspetto che verrà preso in considerazione più avanti in questa serie.D’altro canto, questa tecnologia è stata usata anche come scudo difensivo. La Corte Suprema dell’Iowa ha ammesso prove di esperti secondo i quali l’attività delle onde cerebrali «dimostrava» che l’imputato non aveva riconosciuto nessuno dei dettagli del crimine, ma aveva riconosciuto quelli relativi al suo alibi (Harrington vs State, 2005).

8. LEGGERE I PENSIERI E TRADURLI IN TESTO O IN IMMAGINI

Qualunque cosa tu avessi pianificato di fare dopo aver terminato questo articolo, sospendila per leggere questi due documenti:

i. High-resolution image reconstruction with latent diffusion models from human brain activity (2022, Takagi e altri)

ii. Semantic reconstruction of continuous language from non-invasive brain recordings (2023, Tang e altri).

Nel primo studio viene fornito a un supercomputer un gruppo di dati. Uno è, diciamo, un’immagine che è stato domandato a un soggetto di guardare (ad esempio, una foto di un cane, una palla o un’auto). L’altro sono i dati fMRI di come il sangue scorre nel cervello. Se lo si fa abbastanza volte, l’intelligenza artificiale può imparare a correlare i due aspetti. In altre parole, si arriva un punto in cui sono stati raccolti dati sufficienti per cui serve un solo gruppo di dati (ad esempio, quelli fMRI) per generare l’altro (l’immagine) ab initio e senza alcun frame di riferimento. Quindi, basandosi solo sull’fMRI, un computer può «ricostruire» ciò che un soggetto sta vedendo. La fedeltà delle immagini generate nel documento di Takagi è sorprendente.Nel secondo studio, principi simili sono stati sfruttati per ricostruire una sorta di monologo interiore. I soggetti guardavano un video che mostrava qualcuno con cui si identificavano mentre veniva colpito alla schiena e buttato giù da una piattaforma elevata. Basandosi solo sulla fMRI, un computer è stato in grado di «tradurre» la fMRI in una descrizione narrativa del video.

Nell’estate del 2023, Tang ha fatto parte anche di un team di scienziati dell’Università del Texas ad Austin che ha sviluppato un «decodificatore semantico» basato sull’intelligenza artificiale, in grado di tradurre l’attività cerebrale di una persona, mentre ascolta una storia o immagina silenziosamente di raccontarne una, in un flusso continuo di testo (Semantic reconstruction of continuous language from non-invasive brain recordings, Tang e altri, maggio 2023).

Tutto questo apre un mondo di possibilità per chi ha perso la capacità di comunicare, come le vittime di ictus o chi soffre di patologie degenerative. In effetti, in Australia una tecnologia simile ha persino permesso ai pazienti di usare un chip per inviare e-mail, SMS e persino ordinare la spesa usando il pensiero. Non è difficile, tuttavia, immaginare usi più nefandi di questa straordinaria facoltà.

9. HACKERARE IL CERVELLO PER RUBARE CODICI PIN O PASSWORD

In Using EEG-based BCI [brain-computer interface] devices to subliminally probe for private information (ottobre 2017, di Frank e altri), i soggetti hanno utilizzato interfacce neurali per giocare ai videogiochi. Mentre lo facevano, a loro insaputa, le informazioni venivano estratte dai loro cervelli utilizzando lo stesso principio di potenziale neurale evento-correlato (ERP) discusso al punto 7 qui sopra.

Il team di ricerca è stato in grado di «dedurre le informazioni private degli utenti sfruttando l’attività cerebrale in risposta a stimoli visivi che non sono percepiti cognitivamente dagli utenti». In altre parole, gli ERP del cervello «reagiscono» a stimoli visivi o numerici anche se gli stimoli sono davvero brevi, meno di 13,3 millisecondi, in un modo del quale non siamo consapevoli.

Verificando se «riconosci” o meno determinati volti, numeri o schemi, un computer può quindi elaborare sistematicamente informazioni private come un indirizzo di casa o persino il PIN di una carta di credito (Farahany, pag. 24)! Il documento conclude: «dimostriamo sperimentalmente per la prima volta la fattibilità di attacchi subliminali su dispositivi BCI basati su EEG».

10. INTRAPRENDERE UNA «GUERRA COGNITIVA»

Infine, la guerra cerebrale. Farahany scrive che il governo degli Stati Uniti ha già inserito nella lista nera una dozzina di aziende in Estremo Oriente che si ritiene stiano lavorando su «processi biotecnologici... tra cui presunte armi per il controllo del cervello».

È roba da fantascienza.

Qui, oltre alla manipolazione, c’è l’attacco diretto. Come nota Farahany, gli Stati Uniti credono di essere già stati destinatari di attacchi cognitivi diretti, con alcuni che li ipotizzano come possibile spiegazione per la sindrome dell’Avana, il misterioso insieme di sintomi segnalato per la prima volta dal personale delle ambasciate statunitense e canadese all’Avana, Cuba, nel 2016.

La posizione è riassunta al meglio da Nathan Beauchamp-Mustafaga dell’istituto di ricerca statunitense RAND. Descrive una nuova era di «operazioni di dominio cognitivo» e anticipa «un’evoluzione nella guerra, che si sposta dai domini naturali e materiali (terrestre, marittimo, aereo ed elettromagnetico) al regno della mente umana».

UNA TECNOLOGIA GATEWAY?

Potreste pensare: «Beh, non indosserò uno dei Neuralink di Elon Musk. Mi tengo alla larga da tutto ciò». Ma tutte le applicazioni che ho descritto sono applicabili utilizzando una tecnologia non invasiva e che funziona principalmente tramite EEG o EMG. Non dovete nemmeno sottoporvi a una scansione; è semplice e discreto come indossare un cappello. Basta chiedere a uno dei 5.000 utenti aziendali di SmartCap, che si adatta perfettamente anche sotto a un berretto da baseball o a un copricapo protettivo.

Col tempo, la tecnologia EEG indossabile sarà probabilmente onnipresente, come gli scanner per le impronte digitali o i software di riconoscimento facciale. Proprio come è difficile, ora, acquistare un nuovo telefono cellulare senza queste funzioni, presto sarà difficile acquistare un Fitbit, uno smartwatch o delle cuffie senza capacità EEG o EMG. 

Perché? Big Tech sta puntando molto sulla neurotecnologia e la maggior parte dei grandi attori guarda chiaramente alle interfacce cervello-computer come alla strada da seguire. Mark Zuckerberg le hanno descritte come il «Santo Graal», mentre Apple, ad esempio, ha già brevettato un nuovo modello di AirPod con tecnologia EEG integrata.

Una volta che la neurotecnologia si sarà fusa in tal modo con questa tecnologia ‘di passaggio’, diventerà sempre più difficile uscirne. Sempre più spesso, i dispositivi intelligenti sono il mezzo con cui agiamo e interagiamo. Li utilizziamo per pagare le bollette, fare la spesa, partecipare a riunioni e persino firmare petizioni. E la tecnologia intelligente sarà presto neurotecnologia.

Come notano Tristan Harris e Aza Raskin del Center for Humane Technology, le nuove tecnologie conferiscono nuovi diritti e responsabilità. Non avevamo bisogno del diritto all’oblio finché non è stato inventato Google.

Lo stesso vale per questa nuova generazione di neurotecnologia. Ma ciò che colpisce, delle applicazioni sopra elencate, non è solo la loro intensità pervasiva, ma anche quanto poco preparato sia il nostro attuale quadro giuridico per gestirle.

Nessun sistema giuridico ha protetto il diritto alla privacy cognitiva perché finora si è sempre dato per scontato che fosse impossibile che quei diritti venissero violati. Non avevano bisogno di protezione. Quel presupposto è ora falso e ne consegue che abbiamo bisogno di una nuova e aggiornata generazione di diritti per affrontare queste inedite sfide. Abbiamo bisogno, in breve, di ciò che alcuni chiamano «neurodiritti».

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*A cura di Fabrizio Ventimiglia, Avvocato, Presidente Centro Studi Borgogna, Founder Studio legale Ventimiglia, Nicoletta Prandi, Giornalista ed Autrice, Prof. Harry Lambert, barrister, founder Cerebralink e The Center for Neurotechnology and Law