L’Università deve farsi carico della preparazione al concorso da magistrato
Secondo i primi dati la percentuale degli idonei alle prove scritte è solo del 5%
Manca il 10% dei magistrati. L’organico previsto dalla normativa vigente è di circa 10.700; i magistrati in servizio sono circa 9.670. La giustizia ha bisogno di almeno 1.000 nuovi magistrati. Il dato è stato portato all’attenzione pubblica nei giorni scorsi dopo che il Consiglio superiore della magistratura ha espresso le proprie preoccupazioni a riguardo. La carenza dell’organico dei magistrati non è un problema nuovo, ma va oggi risolto per una ragione in più: gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) – la riduzione nei prossimi cinque anni dei tempi medi dei processi (pari al 40%, nel settore civile, e al 25%, in quello penale) – richiedono un impegno particolare alla magistratura e un organico completo. Non si tratta però solo del Pnrr. Se mancano i medici calano i livelli di assistenza del servizio sanitario nazionale. Se mancano i magistrati, analogamente, calano i livelli di efficienza della giustizia, essenziale servizio pubblico, e ne risentono i diritti e la stessa funzione giurisdizionale, di importanza cruciale per la coesione sociale e il rilancio economico del Paese.
Alla magistratura si accede per concorso. L’ultimo, per 310 posti, è stato bandito nel 2019. Si articola in prove scritte, nella forma del tema, su tre materie: diritto civile, diritto penale, diritto amministrativo. Per chi superi lo scritto è prevista una prova orale, su più materie. Il concorso messo a bando nel 2019 si è potuto svolgere solo nel luglio di quest’anno, a causa di rinvii imposti dalla pandemia. Consentirne lo svolgimento è stata una delle prime preoccupazioni della ministra Cartabia, dopo il suo arrivo al ministero della Giustizia. Proprio la carenza dell’organico dei magistrati ha reso opportuno uno sforzo ulteriore: la ministra Cartabia ha avviato la procedura per un nuovo bando di concorso per ulteriori 500 posti. I due concorsi, per complessivi 810 posti, consentono sostanzialmente di risolvere l’attuale scopertura dell’organico dei magistrati.
Preoccupa tuttavia – è notizia dei giorni scorsi – l’andamento delle correzioni degli elaborati scritti del bando 2019, cui sta provvedendo a ritmi serrati una commissione formata da magistrati, professori e avvocati. Al 2 dicembre scorso, su 1.532 candidati solo 88 erano stati giudicati idonei e ammessi all’orale: il 5,7%. Considerato che i candidati da valutare sono 3.797, se la media degli idonei restasse la stessa all’orale sarebbero ammessi 216 candidati: non sarebbero pertanto assegnati tutti i 310 posti messi a bando. Purtroppo non è una novità: è già successo in occasione di precedenti concorsi, come quello bandito nel 2018: i posti a bando allora erano 330, gli ammessi all’orale furono 301, con una media di idonei del 9,7%. I posti assegnati, all’esito degli orali, furono 285; quelli non assegnati 45.
Questi dati suggeriscono, tra le altre, almeno due riflessioni.
1 Che la selezione dei magistrati sia severa, all’esito di prove di concorso notoriamente difficili e che richiedono una seria preparazione, è un dato di per sé positivo; è una irrinunciabile garanzia della qualità della giurisdizione. Colpisce tuttavia, nella tradizione del concorso, la grande differenza tra le percentuali degli idonei agli scritti (bassissime) e agli orali (altissime). Prendiamo l’ultimo concorso concluso (bando 2018): 9,7% degli idonei agli scritti, 94% agli orali. Forse un minor filtro alle prove scritte e un maggior filtro alle prove orali potrebbe consentire un migliore complessivo bilanciamento tra la qualità della selezione e l’interesse pubblico all’assegnazione dei posti a bando.
2 Se al concorso per magistratura la percentuale degli idonei, alle prove scritte, è solo del 5%, chi si occupa della formazione dei nostri giovani deve porsi delle domande. Saper scrivere è essenziale per il lavoro del magistrato, esercitandosi la giurisdizione attraverso provvedimenti scritti: sentenze, ordinanze, decreti, ecc. A scrivere in italiano si impara – si dovrebbe imparare – a scuola, fin da bambini. A scrivere di diritto si impara – si dovrebbe imparare – all’università. Ecco allora un campanello d’allarme: i laureati in giurisprudenza, confrontandosi con una prova concorsuale scritta, incontrano enormi difficoltà. Ciò deve essere di stimolo a una complessiva riflessione, che unisca i mondi della magistratura e dell’università e che porti alla riforma del percorso formativo per l’accesso alla magistratura. A partire proprio dal corso di laurea in Giurisprudenza. È da tempo allo studio presso il Consiglio universitario nazionale una riforma del corso di laurea: ebbene, quella riforma non può non tener conto della necessità di adeguare la didattica alle esigenze della preparazione per concorsi come quello per la magistratura o il notariato, o a esami di Stato come quello per avvocato. Ciò significa anche attribuire adeguato spazio a esercitazioni scritte, che non siano rimesse alla buona volontà dei docenti, ma facciano parte del percorso degli studi. Magistrati, avvocati e notai lavorano soprattutto scrivendo. Eppure a giurisprudenza gli esami sono per lo più orali e non sono previste prove e esercitazioni scritte obbligatorie quali la redazione di pareri, temi e atti. Il tempo è maturo per una riflessione seria sulla didattica per le professioni legali. Così come è maturo per ripensare l’accesso al concorso per magistratura. In questi giorni si è avanzata l’ipotesi di tornare, come in passato, a consentire l’accesso al concorso direttamente dopo la laurea. È una prospettiva, accolta con favore dal Csm, che mette ancora più al centro l’università e reclama, a ben vedere, proprio una coerente riforma del corso di laurea in Giurisprudenza: l’università, anche innovando le metodologie didattiche, deve farsi carico della formazione e della preparazione ai concorsi, anche e proprio per gli aspiranti magistrati. Serve un disegno complessivo, che riguardi anche, nel post-laurea, il destino delle scuole di specializzazione per le professioni legali, costituite dal 2000 in diverse sedi universitarie, il cui superamento è già oggi nei numeri degli iscritti, in costante e vistoso calo. I laureati che ambiscono a diventare magistrati preferiscono oggi l’esperienza del tirocinio negli uffici giudiziari, cui affiancano corsi di preparazione al concorso organizzati da soggetti privati. Prepararsi al concorso è un problema che ci si pone dopo la laurea, fuori dall’università, il cui ricordo è ormai lontano quando finalmente si diventa magistrati (l’età media è oggi di 32 anni). Considerati gli esiti, è bene che si cambi rotta e che l’università, in sinergia con il mondo della magistratura e con la Scuola superiore della magistratura, si riappropri di un compito che non può non esserle proprio.
Contro l'abuso dei decreti d'urgenza ruolo sempre più attivo della Consulta
di Giulio M. Salerno - Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università di Macerata