Civile

La Cassazione "alleggerisce" gli obblighi di deindicizzazione dei motori di ricerca

Accolto il ricorso di Yahoo avverso il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali che, oltre alla deindicizzazione del nome, aveva ordinato al motore di ricerca la cancellazione delle copie cache delle pagine web

di Alessandro Candini*

Con l'interessante sentenza depositata in data 8 febbraio 2022 n. 3952, la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata sui risvolti del diritto all'oblio nella quotidiana operatività dei motori di ricerca.

1. La deindicizzazione quale declinazione del diritto all'oblio

Come è noto, la deindicizzazione, che la Corte di Cassazione riconduce al "diritto alla cancellazione dei dati" e al diritto a non essere trovati facilmente in rete (c.d. right not to be found easily), costituisce una delle tre possibili declinazioni del diritto all'oblio. La seconda declinazione si risolve nel diritto a non vedere nuovamente pubblicate notizie relative a vicende in passato legittimamente diffuse, quando è trascorso un certo lasso di tempo tra la prima e la seconda pubblicazione.La terza declinazione del diritto all'oblio, connessa all'uso di Internet e alla reperibilità delle notizie nella rete, si risolve invece nell'esigenza di collocare la pubblicazione, avvenuta legittimamente molti anni prima, nel contesto attuale.

Già da tempo la giurisprudenza, comunitaria e nazionale, ha stabilito precisi obblighi in capo ai motori di ricerca, tenuti ad assecondare la richiesta di deindicizzazione dei dati degli interessati relativamente a vicende non più attuali e oggetto di legittimo esercizio del diritto in esame.Del resto, in un mondo sempre più caratterizzato dall'utilizzo di Internet, le notizie sono sempre reperibili a distanza di anni dal verificarsi degli accadimenti che ne hanno imposto o comunque suggerito la prima diffusione.

Sotto questo profilo, la deindicizzazione si è affermata come rimedio volto ad evitare che il nome della persona sia associato dal motore di ricerca ai fatti di cui Internet continua a conservare memoria.

2. Il caso esaminato dalla sentenza

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, una persona fisica ricorreva all'Autorità Garante per la protezione dei dati personali affinché ordinasse al motore di ricerca Yahoo la rimozione dei risultati delle ricerche su Internet effettuate in Europa tramite il predetto motore di ricerca, rimuovendo gli URL che collegavano il nome dell'interessato a una vicenda giudiziaria ritenuta dall'interessato non più di interesse pubblico.

Con provvedimento n. 83 del 25 febbraio 2016 il Garante ingiungeva a Yahoo la rimozione degli URL e la cancellazione delle copie delle pagine Internet contenenti la notizia in questione, conservate da Yahoo all'interno dei propri server (dette in gergo tecnico "copie cache", salvate dai motori di ricerca per consentire agli utenti di visitare una pagina web anche quando essa per qualche motivo è inattiva).La cancellazione delle copie cache da parte di Yahoo avrebbe reso molto più difficoltoso per gli utenti di Internet risalire alla notizia, anche utilizzando parole chiave diverse dal nominativo dell'interessato.Yahoo domandava la revoca del provvedimento al Tribunale di Milano, il quale rigettava il ricorso.

La Suprema Corte, tuttavia, cassava la sentenza di merito nella parte in cui ordinava al motore di ricerca la cancellazione delle copie cache relative alle pagine contenenti l'informazione in sé, sul presupposto che l'ordine di cancellazione di queste ultime avrebbe reso più difficoltosa la ricerca della notizia attraverso l'uso di parole chiave diverse dal nome dell'interessato.Per chiarire meglio il caso con un esempio di fantasia, se cercassimo su un motore di ricerca il nome "Leonida" uscirebbe come primo risultato il riferimento all'eroico generale spartano, sacrificatosi nella celebre battaglia delle Termopili al fine di rallentare l'avanzata dell'esercito persiano.Se il motore di ricerca deindicizzasse il nome "Leonida" (ipotizzando fantasiosamente che si tratti di un evento di qualche decennio fa e che il nostro Leonida abbia voglia di essere dimenticato), un'eventuale nuova ricerca del nome "Leonida" non consentirebbe ai più di risalire alla nota battaglia delle Termopili, garantendo all'interessato quel diritto a non essere trovato facilmente su Internet di cui si è detto.

Tuttavia, anche dopo la deindicizzazione del nome, resterebbe possibile risalire alle pagine web relative all'evento storico anche grazie alle copie cache delle pagine stesse, semplicemente digitando sul motore di ricerca "battaglia delle Termopili", visualizzando a questo punto tutte quelle pagine contenenti notizie sulla battaglia, con all'interno inevitabilmente il nome del generale Leonida, trattandosi di una delle tante parole contenute nella notizia a suo tempo pubblicata.

Secondo la sentenza in commento, dunque, l'eventuale diritto all'oblio dell'interessato (nel nostro esempio di fantasia, Leonida) deve essere bilanciato con l'interesse pubblico a poter continuare a raggiungere la notizia e le informazioni relative all'evento storico a cui l'interessato ha preso parte (nel nostro esempio di fantasia, la battaglia delle Termopili).

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, il diritto ad informarsi sull'evento storico in sé considerato, anch'esso di rilevanza costituzionale, ha prevalso sul diritto all'oblio dell'interessato, con la conseguenza che alla deindicizzazione del nome proprio della persona non dovrà accompagnarsi la cancellazione delle copie cache delle pagine web relative al citato evento, come prescritto dalla predetta Autorità Garante, ciò che, secondo i giudici di legittimità, avrebbe impedito di risalire ad una notizia giornalistica ancora considerata di interesse pubblico (in particolare, la Suprema Corte ha stabilito che "la cancellazione delle copie cache relative a una informazione accessibile attraverso il motore di ricerca, in quanto incidente sulla capacità, da parte del detto motore di ricerca, di fornire una risposta all'interrogazione posta dall'utente attraverso una o più parole chiave, non consegue alla constatazione della sussistenza delle condizioni per la deindicizzazione del dato a partire dal nome della persona, ma esige una ponderazione del diritto all'oblio dell'interessato col diritto avente ad oggetto la diffusione e l'acquisizione dell'informazione, relativa al fatto nel suo complesso, attraverso parole chiave anche diverse dal nome della persona").

Si tratta senz'altro di una sentenza ricca di utili riferimenti normativi e dottrinali a supporto di un condivisibile impianto motivazionale, di particolare interesse per un tema, quello del diritto all'oblio, in continua evoluzione.

*a cura dell'avv. Alessandro Candini, Digitalmedialaws

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