Penale

La Cassazione conferma la condanna per l'importazione di prodotti contenenti componenti pericolose in violazione al Regolamento n. 1907/2006 (REACH) sulla sicurezza dei prodotti chimici

Nota alla sentenza n. 25618/2022, Cassazione Penale sez. III

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di Giovanna Landi *

Con sentenza n. 25618, la III Sezione Penale della Corte Suprema, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un importatore avverso la decisione della Corte di Appello di Genova, che confermava la sentenza di primo grado di condanna per la violazione dell'articolo 67 del REACH, che introduce dei limiti all'immissione sul mercato di sostanze, miscele e articoli contenenti determinate sostanze pericolose (individuate ed elencate nell'allegato XVII allo stesso Regolamento).

In Italia, le violazioni al Regolamento REACH sono sanzionate ai sensi del D.lgs. 133/2009. Tale norma prevede, all'art. 16, che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, l'importatore che immette sul mercato una sostanza in quanto tale o come componente di un articolo non conforme alle condizioni previste dalle restrizioni stabilite dal Regolamento REACH è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da 40.000 a 150.000 euro.

Nel caso della controversia arrivata al vaglio della Cassazione, l'importatore aveva importato da un paese extra comunitario oltre 4.000 pezzi di colla stick contenente un componente pericoloso non conforme al Regolamento REACH ed è stato riconosciuto responsabile di una gravissima negligenza e colpevole imprudenza nei confronti della salute degli acquirenti finali di tale prodotto, dal momento che aveva proceduto all'importazione senza chiedere al produttore alcuna garanzia di conformità alle norme europee né fare altro tipo di verifica.

L'interpretazione della norma fornita dalla Corte nel caso in esame di fatto equipara l'importatore, ossia colui che importa beni nel mercato europeo da paesi extra UE, al fabbricante ovvero colui che immette sul mercato europeo beni da lui stesso prodotti e classificati. Alla luce di tale equiparazione, l'importatore viene ritenuto penalmente responsabile ove il bene importato non sia considerato sicuro per il mercato europeo, in quanto contenente una sostanza pericolosa al di sopra della quantità ammessa per legge.

Vale la pena ricordare che nel sistema normativo italiano, in attuazione ai principi previsti a livello comunitario, il produttore (o colui che immette sul mercato) è soggetto ad una responsabilità - di natura civilistica – oggettiva in caso di prodotto difettoso immesso sul mercato. Lo scopo fondamentale di tale previsione, che costituisce un'eccezione al generale principio di responsabilità per colpa o dolo stabilita dal nostro Codice Civile, è costituito dal voler ridurre al minimo il costo sociale delle attività idonee, almeno potenzialmente, a cagionare danni a terzi (in primis i consumatori).

Nel caso preso in esame, però, la Cassazione fonda il suo ragionamento – confermando la condanna dei giudici precedenti – esclusivamente sull'applicazione della disciplina sanzionatoria derivante dal Regolamento REACH, allontanando ogni dubbio di equiparazione delle fattispecie, cosa che avrebbe portato ad una ipotesi di responsabilità oggettiva di tipo penale (visto che la norma sanzionatoria classifica la violazione quale reato.

Anzi, la Corte sul punto sostiene che nel caso in esame non poteva configurarsi alcuna ipotesi di responsabilità oggettiva penale dal momento che era stato accertato che l'importatore non aveva agito secondo standard di cd. "agente modello", ossia richiedendo al produttore un certificato di conformità del prodotto ovvero effettuando analisi e campionamenti, agendo quindi con colpevole imprudenza e negligenza.

In passato in realtà la medesima Corte aveva riconosciuto la responsabilità penale dell'importatore in casi di beni particolarmente sensibili, ad esempio quelli degli alimenti confezionati all'estero, ove non avesse verificato la conformità di quanto importato mediante controlli tali da garantirne la qualità (cfr. Cass. Pen. n. 17547/2010 ed anche n. 2205/2006).

Ancora, non è infrequente che la regolamentazione europea equipari di fatto la posizione dei produttori a quella degli importatori ove vengano immessi nel mercato europeo prodotti di particolare rilevanza (es. giocattoli per bambini). In tal caso, infatti, la Direttiva Giocattoli e sue norme attuative (i.e. Direttiva 88/387/CE come integrata dal Regolamento 765/2008/CE e Decisione 768/2008/CE) prevede che gli importatori eseguano apposite procedure di conformità verificando, di fatto, che la fabbricazione del giocattolo sia avvenuta conformemente alle norme applicabili, eseguendo se del caso anche delle prove a campione per proteggere la sicurezza dei destinatari.

Altri esempi possono essere rinvenuti nell'ambito della disciplina dei dispositivi medici e dispositivi di protezione individuale; in tali casi, sempre a tutela degli utenti finali, sono previsti particolari obblighi in capo agli eventuali importatori di prodotti extra europei e relative sanzioni.

La Cassazione sembra quasi ispirarsi a tali casi specifici per estendere la responsabilità – in questo caso, si ribadisce, penale – dell'importatore ove importi prodotti, anche di uso comune, come la colla stick, ma comunque non conformi alla disciplina sulle sostanze chimiche pericolose, senza usare tutte quelle cautele necessarie per garantire l'immissione sul mercato di un prodotto conforme alla legge.

In chiusura di tale commento occorre però aggiungere un elemento pratico alla vicenda, derivante dalla quotidiana frequentazione del settore del commercio internazionale di prodotti e sostanze chimiche. Essere un "agente modello" come chiede la Corte di Cassazione è molto difficile nella pratica; i rapporti con fornitori extra europei diventano difficili quando si parla di rispetto di norme europee e molte società, anche con rapporti di lunga data, faticano fornire garanzie al riguardo.

Poter effettuare dei controlli a campione di merce depositata presso le Dogane prima della loro immissione in commercio è altresì molto lungo e complicato, e non facilita i rapporti commerciali con i distributori e clienti finali.

Armonizzare le norme, informare e formare controllori e controllati, creare collaborazione tra le parti e accrescere una cultura uniforme in materia di sicurezza dei prodotti sono elementi indispensabili che trascendono dalle responsabilità dei singoli e che nel lungo periodo aiutano ad un rispetto sostanziale delle norme da parte di tutti gli attori coinvolti.

* Avv. Giovanna LandiStudio Legale Landilex

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